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Sabato sera il Supercampiello è toccato a un docente di letteratura dell'università di Padova, Andrea Molesini.

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Incinquina c'era un altro prof universitario, Giuseppe Lupo. E c'era Ernesto Ferrero, direttore del Salone del Libro di Torino nonché già super-editor per Einaudi, la casa che lo pubblica. Anche la seconda classificata, Federica Manzon, si guadagna il pane in Mondadori come editor (che è il deus ex machina di chi cerca di farsi pubblicare un romanzo, insomma è colui che legge il testo e dice se può essere stampato). L'ultima in cinquina poi, Maria Pia Ammirati, è vicedirettore di Rai Uno e pare contendere a Lucia Annunziata la prima poltrona di Rai Tre. Anche lo Strega, il più importante premio letterario italiano, è finito, lo scorso 8 luglio, a un autore prestato alla narrativa in prima persona. Edoardo Nesi è stato cofondatore della casa editrice Fandango, per 15 anni ha diretto l'industria di famiglia a Prato, è tentato di scendere in politica, politica locale, della sua Toscana. Almeno per ora. Al Ninfeo di Villa Giulia, poi, se l'è dovuta vedere con una politica di razza e d'antan, Luciana Castellina, entrata in cinquina e da molti data per favorita. E con un altro romanziere interno al sistema, Mario Desiati, direttore editoriale, guarda caso, in Fandango. Lo Strega 2011 ha collezionato anche un'altra singolarità. Alla cinquina concorreva per la prima volta un prete, don Gino Battaglia, della Comunità di Sant'Egidio. Sono i recentissimi «casi» dell'italica narrativa, i volti dejà vu (in altri campi, diversissimi o contigui, non importa) che si sono appena affacciati sulla ribalta dei nostri due maggiori allori letterari. E si aggiungono alla schiera di giornalisti, parlamentari, cantanti, comici, magistrati, sportivi, attori che non hanno resistito alla tentazione di firmare un libro, di vedere il proprio nome sulle pile patinate delle librerie, mettiamo nello struscio di una Feltrinelli in Galleria Colonna a Roma o di una Mondadori Multicenter, in piazza Duomo a Milano. Non si accontentano di un'autobiografia, un saggio, una intervista lunga, un instant book, un volumetto di ricordi et similaria. Affrontano indomiti il vertice della scrittura, quello che richiede capacità d'impianto, introspezione psicologica, coerenza di plot e - massime - originale stile espressivo. Mica con questo diamo un giudizio di merito. Le prove narrative dei Nostri possono dare buoni risultati, talvolta. Però si constata che questo popolo di santi, naviganti e scrittori ha sempre meno santi e navigatori ed è sempre più farcito di scrittori. Che però ufficialmente fanno altro. La domanda: dove sono finiti gli scrittori puri (qualche acidone semplifica eliminando tout court l'aggettivo)? Dove sono i Pirandello, i Verga, le Elsa Morante, i Bassani? Dove ritroviamo un Tommaso Landolfi, che se ne infischiava di apparire nei salotti e quasi, ossessionato dal rigore, si vergognava di pubblicare? È pur vero che di belle pagine non si viveva neanche due secoli fa, tant'è che Carducci teneva conferenze per portare meglio a casa la pagnotta. Ed è sacrosanto che il Novecento ha visto parecchie contaminazioni, a partire dal sommo Gadda, prima ingegnere e poi funzionario in Viale Mazzini. E a continuare con i giornalisti romanzieri alla Buzzati e alla Moravia. E però adesso i rivoli di provenienza sono inusitati. E pongono un amletico interrogativo, un rumore che disturba l'aura di Narratore che si ambisce di possedere. Insomma, un Faletti si merita le vette delle hit perché è stato sublime comico oppure perché è un bravo scrittore? Un De Cataldo piace perché i lettori s'immaginano di leggere trame criminali davvero vissute dall'ex giudice oppure perché sa tessere intrighi perfetti e rifulge per l'uso della lingua? E gli editor, che smontano e ricompongono fin nel titolo i romanzi degli altri, non sono - più che scrittori - abili ideatori a tavolino di fenomeni letterari? Un caso a parte, poi, sono i politici. Qui s'insinua un altro dilemma. Se sono out, si pensa che scrivano perché non hanno di meglio da fare. Di quelli in corsa invece ci si chiede se non potrebbero impegnare meglio il loro tempo. Accade per esempio che Luciano Violante abbia fatto un quadruplo salto: prof, magistrato, deputato, ma anche scrittore e perfino poeta (è da poco uscito «Viaggio verso la fine del tempo»). Accade che Veltroni Uolter abbia firmato un libro l'anno, da sindaco, da leader Pd e soprattutto ora, quando l'impegno quotidiano è assai scemato. Accade che il sodale ed ex vice Dario Franceschini (questo della narrativa è un pallino che accomuna molti della sinistra) sgomiti in Bompiani (l'abbiamo visto anche al cocktail pro-Nesi, alla vigilia dello Strega) e comunque assicuri che non toglie tempo all'attività parlamentare e di partito. L'altro ieri ha avuto un dispiacere. L'hanno rifiutato al Festival della Letteratura di Mantova. Motivo: perché è un politico. Lui se l'è presa: «È una discriminazione». Attendiamo suo appello alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

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