di NICOLA BULTRINI Come si può raccontare l'11 settembre a chi era ancora bambino nel 2001? Cose dell'altro mondo, si direbbe.
"L'11settembre di Eddy il ribelle" (Gallucci Editore, 2011), comincia proprio nella Città dei Ragazzi, la struttura alle porte di Roma, che ospita orfani e minorenni rifugiati provenienti da tutto il mondo e dove Affinati insegna da anni con generosa passione. Alcuni ragazzi, già clandestini nel mondo (come alieni nell'universo, dunque?), riportano al professore la fantastica storia del clandestino per eccellenza. Eddy è un adolescente ribelle che vive sul pianeta Fulgor, dove anche la sola idea della guerra è bandita da tempo. Un giorno, espulso da scuola, scappa a bordo di un'astronave insieme con Matuzalem, l'amico più caro. Peregrinando negli abissi spaziali, l'11 settembre 2001 sono sul cielo di New York, testimoni dell'attacco terroristico alle Twin Towers. L'istinto dei due adolescenti sarebbe di allontanarsi dalla tragedia, ma improvvisamente Matuzalem scompare. Possibile che abbia scelto invece di immergersi in tanto dolore? Eddy allora non ha altra scelta che scendere sulla terra in cerca dell'amico e inizia così per lui una straordinaria avventura. Conosce Nadine e quel sentimento meraviglioso che gli consente anche di confidare la sua incredibile storia. Ma non può rimanere a Manhattan e le tracce dell'amico lo portano attraverso il nostro pianeta, in Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, fino in Italia, seguendo un cammino di disperazione, ma anche di tenace speranza. Perché c'è "un cartello invisibile dentro la coscienza di tutti, che recita: vietato arrendersi". Eddy quindi conosce gli uomini nei vizi e nelle virtù, si lascia andare alle umane emozioni, cerca di capire la pasta magnifica e imperfetta di cui siamo fatti. Già, gli uomini, questo "strano miscuglio di bene e male, crudeltà e innocenza, gioia e dolore". Allora Eddy finisce per sentire l'amico Matuzalem in tutte le persone che incontra. Con la fantasia del grande narratore Affinati ci racconta, nelle tragedie della nostra contemporaneità, di "un concerto di buone volontà al lavoro", senza nascondere però che "noi siamo il frutto di quello che ci precede". La sua esperienza quotidiana con tante culture diverse (non ultima la scuola Penny Wirton, da lui fondata con la moglie Anna Luce Lenzi per aiutare i ragazzi stranieri), gli consente, pur nell'affabulazione del romanzo, di spiegare le dinamiche assurde quanto reali che muovono il mondo, a partire dal più grave attacco terroristico di tutti i tempi e il suo significato nella storia dei popoli della terra. Affinati sembra volerci dire che quei ragazzi, apparentemente accecati dalla disperazione delle loro esistenze di alieni nel mondo, in realtà vedono e sanno più di quanto crediamo. La storia per loro non è semplice cronaca mediatica, ma un vissuto reale di giorni tragici, di morti e sottrazioni, eppure di tenace, viscerale volontà di vivere. Nonostante tutto e tutti, l'essere umano, nei suoi esemplari più giovani, al di là di ogni sua contraddizione, ribadisce sempre la vita sopra ogni cosa. La parola, commossa e sincera di Affinati, si rivolge certo anche ai lettori adulti, ma soprattutto a quei ragazzi tristi, "come sono gli adolescenti di ogni galassia quando si accorgono che il mondo li esclude".