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di MARIO BERNARDI GUARDI Quando sei ferito nel corpo e nell'anima è difficile rimettere insieme i pezzi.

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Diciamo,vecchio come l'umanità. Ma torna a riproporsi, affannoso, incombente, quando ti senti in instabile equilibrio su un filo che vibra: e non sai a chi chiedere soccorso. Sei solo, devi vedertela con te stesso. Ma forse è più giusto dire: hai bisogno di essere solo, hai necessità di scoprire te stesso. Ma come? E dove? Dove all'urto della solitudine, piena di suoni, di umori, di ricordi, puoi provare a rispondere senza farti sopraffare? E magari scoprendo che ciò che sentivi esclusivamente, atrocemente «tuo» - la solitudine, appunto - può paradossalmente sciogliersi, liberarsi, in «altre» solitudini, cui via via «attingi», per trovare, se non un punto fermo consolatorio, il conforto della complicità, della confidenza? Il protagonista del romanzo di Fausta Garavini («Diario delle solitudini», Bompiani, pp. 166, euro 16,50), se non trova se stesso - impegno troppo arduo per tutti, figuriamoci per chi ha l'Io in frantumi - incontra gli altri. E non perché li vede, li tocca, ci parla: no, proprio perché avviene il contrario, proprio perché sono le impalpabili, fantasmatiche presenze di una casa. Una casa che giorno dopo giorno gli si rivela, ed allora acquistano consistenza le persone che l'hanno abitata, e lui può evocare, attraverso oggetti, lettere, fotografie quale è stata la loro vita. Può «impossessarsene» discretamente, con approcci graduali, mentre volti e storie si disegnano e gli si consegnano seminando nel suo cuore il turbamento di tante solitudini che si accostano alla sua, chiedendo udienza. Così, parola dopo parola, si ricompone il passato. Col suo carico di amori e disamori, troppo lunghe attese e speranze frustrate, gioie brevi e pallide e dolori covati nel silenzio. Non insegna, il passato: reca in sé, però, tracce e segni eloquenti. E lui, lasciando, come alla fine di un percorso, quel mondo «segretamente incantato», che subito gli si era proposto con una gentile urgenza di disvelamento, può concludere ambiguamente: «L'essenziale è l'inaccaduto. Ciò che accade è imperfetto. Non c'è salvezza nelle cose attuate. L'inaccaduto è senza età e senza fine». L'essenziale è ciò che poteva essere e non è stato. Ciò che è rimasto sospeso. Confidato soltanto a se stessi, e certe volte neppure questo. La casa custodisce. Alberto Savinio la chiamerebbe «ispirata»: è il titolo di un suo romanzo del 1920, «La casa ispirata», appunto (Adelphi lo ha ripubblicato nel 1986), dove «spirano», respirano presenze. Nel «Diario» della Garavini il contatto avviene per sequenze ora tangibili ora incorporee. Gli ambienti «mediano» perché si stabilisca la complessa «comunione». Sin dal primo approccio, allorché il protagonista - un fotoreporter che ha subito un grave incidente e che dopo l'operazione ha «una fisionomia fissa, un calco inespressivo, più inquietante di qualsiasi deturpazione» - giungendo nella casa presa in affitto per curare la propria solitudine - una bella villa, circondata da un parco, in mezzo alla laguna veneziana - avverte una percezione di «déjà vu» che assomiglia a un'intesa. Gli antichi proprietari della villa sono morti, ad occuparsene è un ruvido e reticente erede dei vecchi custodi. Ma non c'è senso di disfacimento e di abbandono. Anzi, vibra dappertutto una vita impercettibile. E lui dapprima «scopre» le stanze destinate al suo soggiorno, poi si avventura nelle altre, mentre si dischiudono segrete intimità di famiglia. Ogni cosa è un'immagine, ogni cosa racconta. Un quadro, una suppellettile, una lettera, una fotografia, un ritaglio di giornale. E si definisce, in quell'interno apparentemente così riparato eppure mosso da inquietudini «sottili», un gruppo di famiglia, un composito intreccio di destini. I volti ritrovano nomi e «funzioni»: Rodolfo, l'Imprenditore, il fratello Gualtiero, l'Artista; Amanda, moglie di Rodolfo e madre di Alvise, sognatore e pittore estroso; Matilde, moglie di Gualtiero e madre di Lavinia, l'amorosa confidente del cugino. Presenze che riaffiorano, cuori che sembrano riprendere a battere, sullo scenario del Novecento, mobilitato da guerre e ideali. Emozioni e passioni. Ma anche tanti silenzi, tante cose non dette e tenute dentro perché la società ti ha assegnato un ruolo e non puoi non esercitarlo. Questa trepida, silente accettazione tocca soprattutto alle donne. Custodi dell'accaduto e soprattutto dell'inaccaduto. E quando parlano - perché tutti i personaggi «convocati» dal protagonista parlano e raccontano - ecco che le loro confidenze ma soprattutto la misteriosa forza dell'inespresso sono tali da tessere il diario di una solitudine che varca il tempo e chiede commossa comunione.

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