Ecco Nerone l’imperatore "pop"
È una secchiata d'acqua fredda ricevuta in piena faccia a risvegliare Nerone dai suoi sogni confusi. Poveraccio! Le ha buscate sode. Ha le ossa rotte, la testa gli rimbomba, ha lo zigomo gonfio. Di notte, in un vicolo di Roma, ha affrontato un energumeno ubriaco, grosso come una montagna, sfidandolo a fare a cazzotti con lui. Ora raccoglie i cocci di una contesa impari. Si rialza, aiutato dall'amico Otone - «un giovane elegante, con un bastone stretto tra le mani e lo sguardo divertito» - che lo ha destato in maniera un po' brusca, ma decisamente efficace. Il giovanissimo imperatore getta uno sguardo a terra. Ci sono la cetra e il cappello nero di feltro. Ancora frastornato, raccoglie le sue cose. Non gli va di andare a letto. La notte è piccola e c'è da divertirsi. Una bella bevuta e qualche bella ragazza lo rimetteranno in sesto. L'approdo giusto, dunque, è una bettola. Piena di gente. Uomini, donne, bambini. Qualcuno lo riconosce: «Ehi - grida - è arrivato il nostro imperatore! Nerone cantaci una canzone». È davvero popolare il nostro bel ragazzo ricciuto. Si accomoda a un tavolaccio dove ci sono una ventina di persone sedute. Ha accanto un omaccione robusto e peloso. Si stringono la mano, come due vecchi amici. Poi, l'omaccione gli versa un bicchiere di «merum» - vino schietto, genuino, corposo- e Nerone lo ringrazia dandogli una pacca affettuosa sulle spalle. «Lunga vita all'Imperatore!», gridano tutti. E qualcuno batte le mani. È una grande gioia per lui «vedere e sentire quell'affetto, quella riconoscenza, il sentimento puro delle persone semplici». Perché «detesta il comportamento serio e composto, falso e affettato di tutti i nobili e i parassiti che ogni giorno gli orbitano intorno. Ha bisogno di stare con la gente normale, con i miserabili e i disperati: con la gente vera. D'altronde è quello il popolo romano. È con loro che deve instaurare un rapporto sincero. È da loro che deve farsi amare». Quindi alza il bicchiere e fa un brindisi all'allegra brigata, mentre il dolore delle botte si affievolisce. Poi, a gran voce, chiama l'oste. Carne e pesce a volontà per tutti. E frutta e miele, e dolci e vino: il migliore, naturalmente. Deve scorrere a fiumi, delizioso, prelibato, liquido «commento» della allegria che contagia tutti. E in quel clima non può non spuntare la bella donnina «allegra» che non stacca gli occhi di dosso al ragazzo, pronta a servirlo nel modo giusto. Ma prima tutti vogliono una canzone. E lui prende la cetra, la pizzica, ne intona una vecchia e conosciuta. «Sono parole d'amore che galleggiano nel cielo della bettola». I cuori si sciolgono, Qualcuno si commuove. Applausi. E lui, l'imperatore, sogna un'arena tutta per sé e decide che organizzerà dei nuovi giochi a Roma. Ci saranno competizioni canore, recite, gare di cultura. Il tutto si chiamerà Neronia. Si può scrivere in questo modo, tra il «pop» e il minimalista, una biografia di Lucio Domizio Enobarbo Claudio Cesare Augusto Germanico, insomma Nerone, l'ultimo imperatore della dinastia giulio- claudia e uno dei personaggi più discussi dell'antichità? Andrea Biscaro, poco più che trentenne, cantautore, studioso di tradizioni popolari e autore di storie per bambini, lo ha fatto («Nerone. Il fuoco di Roma», Castelvecchi, pp. 309, euro 16,50). L'«operazione» è riuscita? Bè, il libro ha un piglio giovanilistico non privo di ingenuità (viene da sorridere di fronte al Nerone che in questo modo fa i capricci e difende il suo diritto alla felicità con mamma Agrippina, consorte infedele del povero Claudio, destinato ad esser fatto fuori col veleno: «Madre, io non voglio fare l'imperatore, te l'ho già detto un migliaio di volte. Io sono un artista, non un uomo di governo! Il potere non m'interessa. E poi ho appena diciassette anni. Non s'è mai visto un imperatore tanto giovane!»). E tuttavia la biografia di Biscaro, con tutti i limiti del romanzesco e di un «sermo cotidianus» talvolta troppo insistito, e dunque stucchevole, si inserisce in un lungo elenco di opere revisioniste (pensiamo al «Nerone» di Massimo Fini, pubblicato nel 1997), volte a riabilitare l'imperatore - un despota democratico e progressista, amante della cultura e della pace? Più o meno... - contro la demonizzazione di Tacito e di tutta la letteratura cristiana che lo ha descritto come un mostro, un vero e proprio Anticristo, un pazzo criminale che appiccò il fuoco alla sua Roma per vedere che effetto faceva l'incendio, «musicandone» le suggestioni con la sua cetra. E allora da che parte stare? Nerone è stato un mostro o magari il primo dei cantautori impegnato in politica? I posteri l'ardua sentenza non l'hanno ancora data. Quanto a noi, nel nostro privatissimo immaginario, conserviamo l'immagine del Nerone modellato da Peter Ustinov nel «kolossal» paleozoico «Quo vadis?» (1953): un ciccione voluttuoso e disgustoso. E oggi come ieri siamo dalla parte del guerriero romano Vinicio - Robert Taylor - che si innamora della bella cristiana Licia - Deborah Kerr - e insieme ad Ursus - Buddy Baer -, il gigante buono che la protegge, combatte contro i cattivi e vince in un tripudiante «The End». Per la curiosità dei cinefli, aggiungiamo che in quel film figurano tre comparse destinate a futuri allori: Bud Spencer, Sophia Loren, Lando Buzzanca.