Lussuria e morte nel Seicento
diMARIO BERNARDI GUARDI Il titolo, con quel richiamo alla celeberrima ex-parlamentare trans-rifondarola, seguito da una strizzatina d'occhio alla morbosità del lettore («Luxuria. Eros e violenza nel Seicento. Salerno, pp. 171, euro 12), non è proprio il massimo dell'originalità, ma non fermiamoci alle apparenze. Perché la «sostanza» del saggio di Oscar Di Simplicio è più che notevole, nel senso che ci troviamo di fronte a una ricognizione storica che poggia sulla solidità del documento (una cronaca giudiziaria del Seicento) e a una indagine nell'animo umano (protagonista un sacerdote «dèmone») che si apre su eterni e irrisolti interrogativi. Proviamo a formularne qualcuno: l'istinto degli uomini è portato al bene o al male? Quanto dobbiamo alla cultura e quanto alla natura? Ogni uomo è un individuo singolarmente determinato oppure è «un Io plurale»? Sono domande che abbiamo sentito ripetere un'infinità di volte: e la cultura - dai tragici greci a Dostoevskij, da Pirandello a Freud, da Borges a Pessoa - si è affaticata a dare una risposta. Con esiti indubbiamente interessanti e suggestivi, ma mai del tutto convincenti: la cronaca, e non solo quella nera, continua quotidianamente a dirci che l'animo umano è misterioso e inafferrabile. Eppure si è chiamati a giudicare. Lo pretendono i codici religiosi e morali, lo impongono le corti di giustizia che ti chiedono di rispettare la legge, e se non ti fanno star male con i sensi di colpa e i dolorosi travagli della coscienza, ti obbligano a tener conto che ad ogni delitto corrisponde (dovrebbe corrispondere...) una pena. Tutto facile? Tutto maledettamente difficile, invece. Perché «difficili» sono gli uomini e «umane» sono le leggi. Dunque, nonostante la pretesa di obiettività, figlie del tempo e delle circostanze. Non solo: incapaci di formulare verdetti «sicuri» perché spesso la personalità del «reo» è talmente ambigua e sfaccettata che gli stessi «fatti» appaiono discutibili e controversi. Figuriamoci, poi, quando i testimoni sono incerti, spauriti, reticenti. Insomma, non vogliono avere «responsabilità» in un'eventuale condanna. Che pure dovrebbero esigere. Ma ecco il caso: a Montorgiali, uno sperduto borgo della Maremma, il pievano Marcantonio Niccolai ha esercitato per oltre un ventennio un potere assoluto, creando una rete di connivenze e di omertà, «plagiando» i propri parrocchiani, compiendo atti delittuosi, dando libero sfogo alla propria incontenibile sfrenatezza sessuale. C'è di tutto e di più perché la Chiesa della Controriforma e dell'Inquisizione intervenga facendo cessare lo scandalo. Mica facile, però: e il vescovo Scipione Tancredi ne è ben consapevole. Non tanto perché non abbia l'autorità per arrestare un prete: ce l'ha, eccome. Ma è «quel» prete che crea problemi. Violento e reattivo, gira sempre armato di archibugio e pistola, e dunque va colto di sorpresa. E poi, se è vero che i misfatti che ha compiuto hanno abbondantemente superato la soglia di tollerabilità, perché ha prevaricato, rapinato, incitato al delitto, stuprato ecc. ecc., è altrettanto vero - ed ecco il bene e il male inquietantemente allacciati - che si è anche segnalato in iniziative di tutt'altro segno. Infatti, ha aperto scuole, animato la vita culturale della comunità, aiutato i poveri, le vedove e i derelitti. Un tipo del genere suscita, orrore, certo, ma il fosco alone che lo circonda è anche carico di fascino. Ancora: se fosse condannato, chi lo sostituirebbe? Meglio: ci sarebbe qualcuno che si farebbe carico di esercitare la propria missione in quella comunità tanto «selvaggia» da sembrare ormai avvezza alle angherie e timorosa di ogni possibile cambiamento? Ammesso e non concesso, poi, che ci sia davvero spazio per un cambiamento «reale» perché talmente fitta è la rete di complicità e di ricatti tessuta da Marcantonio che, incarcerato lui, i suoi complici continuerebbero a spadroneggiare, vendicandosi contro tutti quelli che hanno osato attentare alla sua «egemonia». Non si può far nulla contro un «mostro» del genere, emblema, in piccolo, di un potere prepotente, carismatico e criminale che, di secolo in secolo, ha avuto centinaia di incarnazioni? Sorpreso in un'imboscata, nel settembre del 1631, Marcantonio viene trasferito in carcere a Siena. Il fisico ne risente ma lo spirito resta indomabile. E con i «collegamenti» esterni ancora in piedi, il pievano non ci pensa davvero a cospargersi il capo di cenere. Il fatto è che i dèmoni sprigionano fiamme e, ieri come oggi, sono molti quelli che hanno paura di bruciarsi. Volete sapere la sentenza? Provate a ipotizzarla.