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Malaparte scrittore di guerra

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Sipuò dir tutto di Malaparte: ma di fronte alla sua vita e alla sua prosa così "eccessive" tanto di cappello in questi tempi di meschinerie minimaliste e di trasgressioni un tanto al chilo. Insomma, nello scrittore pratese (ma di padre sassone e di madre lombarda) c'è una voglia di essere dentro ed oltre il proprio tempo, di raccontarlo, testimoniarlo in carne ed anima, sangue e spirito, di esasperarne genialmente contenuti e contorni, che non troviamo in nessun altro scrittore. Troppo carico, anzi sovraccarico di umori, il tedesco Kurt Suckert, che scelse di essere l'arcitaliano e "maledetto toscano" Curzio Malaparte? Certo, l'autore di "Kaputt" e "La pelle" (ora nel prestigioso catalogo Adelphi) è per tanti versi "insopportabile" o meglio, per usare un aggettivo caro a Cristina Campo, "imperdonabile". Ma anche il Novecento, il cosiddetto "secolo breve" che in realtà è sterminato, e continua a suggestionarci e a coinvolgerci; anche il Novecento delle avanguardie e delle ideologie, dei totalitarismi e delle guerre civili europee e mondiali, è "imperdonabile". "Confesso che l'ho vissuto", potrebbe dire Malaparte. Aggiungendo: in tutta la sua pienezza, senza risparmiarmi. Peccando in pensieri, parole ed opere. Omissioni, no. E allora viva Curzio e i suoi cinquantanove anni di vita belli e dannati! Leggiamolo, riscopriamolo a dispetto di tutte le animucce astiose e avvizzite che, nel dopoguerra, hanno fatto di tutto e di più perché sulla sua opera calassero il pregiudizio e l'oblio. Leggiamolo, perché non solo lo scrittore, ma anche il giornalista, l'inviato speciale ha dalla sua l'"intelligenza delle cose" , un occhio che scruta e scava e una penna che sapientemente racconta e modella. Capita dunque a proposito questo libro di Enzo R. Laforgia ("Malaparte, scrittore di guerra", Vallecchi, pp. 267, euro 14,50) dedicato al combattente e inviato speciale del "Corriere della Sera" che, tra il '40 e il '43, si immerse negli incendi di Europa, dalle Alpi alla Grecia, dai Balcani alla Romania, dall'Ucraina alla Russia, per raccontare il secondo atto - il più sanguinoso, il più atroce - di quella che acutamente definì "la guerra lampo dei Trent'anni". Non aveva perso nemmeno un attimo dell'immensa tragedia che per la prima volta aveva visto "la tecnologia applicata alla distruzione di massa", con conseguenti "anestetizzazione morale", "neutralizzazione della compassione umana", "deresponsabilizzazione dei produttori di morte", dacché, sedicenne, si era arruolato (lui, di origini germaniche!) nella Legione di Peppino Garibaldi, per andare a combattere, nelle Argonne, in difesa della Francia. Se li era gustati tutti, e da subito, orrori ed eroismi della guerra, con lo scialo della "produzione industriale della morte" che ne costituiva il nuovo marchio, quando, nell'apocalissi di Bligny, aveva sperimentato gli effetti degli aggressivi chimici (con un danno permanente sui suoi polmoni). E nel 1921 aveva dedicato il suo primo libro - ovviamente provocatorio, trasgressivo, scandaloso, a partire dal titolo, "Viva Caporetto!" - al "luogo della santità e della maledizione del fante italiano". Poi, in un crescendo di visibilità, ecco la milizia fascista, la collaborazione al "Selvaggio", la direzione della "Stampa". Ma amore per la libertà e vocazione polemica gli rendono ostili gli ambienti più conservatori del regime: Malaparte viene confinato a Lipari, poi, grazie all'interessamento dell'amico Ciano, trasferito a Ischia (!) e, infine, a Forte dei Marmi (!!). Nel giugno del 1935, provvido proscioglimento. La stella torna a risplendere. Collabora al "Corriere della Sera", nel 1939 è inviato in Eritrea e in Etiopia, dal '40 al '43, è un bravissimo corrispondente di guerra, un cesellatore di pezzi che diventeranno libri ("Il sole è cieco", "Il Volga nasce in Europa") dove la "finis Europae", pur con le dovute concessioni alle rassicuranti "veline" del Regime, è ben più che un presagio.

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