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Nicola Bultrini Per capire la prima guerra moderna, ovvero la Grande Guerra, leggete "La paura" di Gabriel Chevallier (Adelphi, 2011).

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Ilvolume, uscito per la prima volta nel 1930, già nel '39, quando soffiavano ormai i venti di un'altra terribile guerra, fu ritirato dalle librerie. Appariva allora un libro certamente scomodo. E infatti, pubblicato a caldo dopo il primo conflitto mondiale, ne svela e smitizza la brutalità e la violenza. Ma soprattutto, al di là di ogni retorica (sia pacifista che militaresca) denuncia senza inibizioni la paura, ovvero l'elemento essenziale che sta in petto a chi la guerra la fa davvero, sul campo di battaglia. "La paura non è una cosa di cui vergognarsi. È la ripugnanza del nostro corpo di fronte a ciò per cui non è fatto", eppure, "noi abbiamo il diritto di parlarne perché quella ripugnanza l'abbiamo vinta tante volte". Così parla l'alter ego dello scrittore, il soldato semplice Dartemont, il quale sa che "il coraggio consapevole inizia dalla paura". In prima persona il romanzo racconta le sue vicende di poilu, dall'arruolamento al battesimo del fuoco, dal ricovero in ospedale al ritorno al fronte, fino all'irreale e lugubre silenzio che annuncia l'armistizio. La narrazione ci fa percepire, con efficacia non comune, concretamente la realtà del campo di battaglia, gli odori e la polvere delle esplosioni, il tanfo dei cadaveri in putrefazione, l'orrore dei corpi dilaniati, infine il terrore che non fa parlare, che toglie il fiato ad ogni considerazione di logica. I dialoghi essenziali, semplici e autentici dei poilus, si mescolano con la vanità e le ambizioni degli ufficiali. La terra di nessuno è sempre la stessa su tutti i fronti della Grande Guerra. Ma dappertutto dilaga sempre lo stesso sentimento, la paura, che però è anche la voglia disperata di vivere. Ed infatti l'uomo schiacciato nel fondo della trincea, anche nella più cupa disperazione, nutre il più elementare anelito di vita, il primordiale istinto di sopravvivenza. "Temo più di ogni altra cosa, che la paura possa impadronirsi di me", pensa il soldato, "bisogna lottare contro la paura ai primi sintomi, altrimenti ti irretisce, e allora sei spacciato". L'uomo, esposto alle tempeste d'acciaio "vive come un animale, che ha fame e che ha sonno" ed "e' una follia sperare di potersi salvare sempre". Eppure, nonostante tutto, rimane, pur lacerato, un barlume di dignità. Ma, avverte Chevallier, "chi non ha mai immaginato di poter essere fatto a pezzi da una granata non può parlare di nobiltà d'animo".

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