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Un bicchiere pieno di vino e cultura

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diMARIO BERNARDI GUARDI Ve la ricordate la vigorosa e generosa Italia di Claudio Villa? Un po' burina, forse, ma fresca e schietta quando, nello splendore dell'estate matura, andava in gita ai Castelli, intonando a gola spiegata: "Lo vedi, ecco Marino, la sagra c'è dell'uva, fontane che danno vino, quant'abbondanza c'è: appresso je viè Genzano co'r pittoresco Albano, su viette a divertì, Nannì Nannì"? Un nazionalpopolare ruspante l'indimenticabile Claudio: eppure quel canto gioioso in cui il "vino delle vigne" veniva esaltato perché "meglio dello sciampagna", aveva dietro una solida tradizione classica. Basti citare il mitico "Carpe diem" oraziano: cara Leuconoe, ammonisce il poeta, dall'incalzare degli anni ti difendi cogliendo l'attimo fuggente e il profumo dell'attimo fuggente è quello dell'amore e del vino. Antica sapienza di quell'Italia nostra che tra mito e storia fu battezzata "Enotria tellus" - terra del vino - e se è vero che questa denominazione riguardava soprattutto il Meridione, e per essere ancor più precisi la Calabria, possiamo ben prenderla a caratteristica dell'intera penisola che è una meravigliosa distesa di viti. E - variegata com'è per gli umori che fecondano la terra e per come diversamente, dall'Alto Adige alla Sicilia, la bacia il sole - una mirabile, incomparabile enoteca. Che i cugini francesi si mettano dunque il cuore in pace: a batterli non è soltanto la nostra produttività, ma soprattutto la nostra qualità, meglio ancora il multiforme gusto dei nostri vini. Un vero e proprio segno d'eccellenza che è poi quello che fa risaltare l'unità nella diversità. Il Paese delle mille città, al Nord un po' francese e un po' tedesco, e al Sud, un po' greco e un po' arabo, è anche il Paese delle mille qualità di vino. Buon vino, buon cibo. E hanno fatto bene Clara e Gigi Padovani, giornalisti e gastronomi, a scrivere il loro "Italia Buonpaese" (BLU Edizioni), inserendosi nelle celebrazioni unitarie con un libro che racconta gusti, cibi e bevande in 150 anni di storia. Tante le curiosità enologico-risorgimentali. Tanto per dirne una, lo sbarco dei Mille a Marsala non avvenne per caso. Il porto, infatti, fu scelto perché vi stazionavano le navi inglesi che prelevavano il vino liquoroso destinato agli ufficiali di Sua Maestà Britannica. Siculissimo il Marsala? Certo, il sole dell'isola c'è tutto. Ma, a merito della (non sempre) "perfida Albione", va ricordato che in origine i siciliani chiamavano il gustosissimo e profumatissimo nettare "vino inglese" perché a crearlo era stato sir John Woodhouse, "british" di Liverpool, "aggiungendo dell'acquavite al 'perpetuum' locale, un rosso di lunga conservazione, forte e vigoroso". Ebbene, siccome i Borboni non volevano colpire le navi inglesi, evitarono di sparare contro le imbarcazioni della camicie rosse giunte da Quarto. Garibaldi ci aveva visto giusto. O forse a dirgli di sbarcare proprio a Marsala erano stati i Florio che avevano "discretamente" finanziato la spedizione dell'Eroe dei Due Mondi e che già allora producevano quel vino "botta di vita", dopo essersi affiancati con la loro cantina a quella dei Woodhouse. Lo Stivale in bottiglia? Bè, tra gli uomini che fecero l'Italia i viticultori non mancano. Dietro la nascita del Barolo ci sono la barbetta e gli occhialini di Cavour; Bettino Ricasoli, il "barone di ferro" toscano che gli succedette alla presidenza del Consiglio del Regno d'Italia, ebbe il suo bel ruolo, come ricordano Clara e Gigi Padovani, nella codificazione del Chianti classico e, quando si ritirò nel castello di Brolio, si dedicò alla cerca di una personalissima "pietra filosofale" e cioè la formula del "vino perfetto"; Quintino Sella, nominato ministro delle Finanze da Urbano Rattazzi nel 1862, apparteneva a una stirpe proprietaria di vigneti sin dal 1671 e "produceva vini da uve nebbiolo che dall'Alto Novarese andavano ad allietare i banchetti delle corti di mezza Europa". A "inventare" il Brunello di Montalcino fu invece una "camicia rossa", e cioè Ferruccio Biondi Santi, che dopo l'Unità si dedicò alla tenuta di famiglia e che nel 1888 mise in commercio la prima bottiglia di Sangiovese in purezza, battezzandola "Brunello". Che è, poi, vino rosso scelto. Già, vino "rosso" o vino "nero"? Un dilemma arduo perché anche qui c'è chi la butta in politica. È da sempre così, nel Belpaese che è comunque, nonostante tutto (nonostante gli Italiani, direbbero insieme Longanesi, Malaparte e Montanelli), un Buonpaese. E allora brindiamo, alla faccia della crisi, magari col mitico Brunello di Montalcino, profondo Senese, profonda Toscana, profondo cuore d'Italia.

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