Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Questa Roma ricca come una cornucopia

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

diLIDIA LOMBARDI Si va a marcia lenta in via del Teatro Marcello. È la settimana che chiude il Ferragosto, quella più vuota di romani e più piena di turisti. Si procede piano in macchina, perché il Comune sta sistemando i sanpietrini nuovi, quelli di ultima generazione, che si dissestano meno e non fanno affondare i tacchi delle signore. Allora, incanalati nella carreggiata ristretta, ci resta l'attimo per alzare lo sguardo, come chissà da quanto non facevamo. E ritroviamo la città cornucopia che sta sempre lì, ma che avevamo dimenticato. Perché in una sola occhiata lo scorcio squaderna quattro epoche e tre religioni. Eccole, nella foto qui accanto. Il Teatro di Marcello, per i ludi pagani al tempo di Ottaviano Augusto, e le tre colonne corinzie del tempio di Apollo Sosiano. Accanto la facciata barocca, la cupoletta, le forme sinuose della chiesa sconsacrata di Santa Rita. Poco più avanti, ecco profumo di medioevo, e di Quattrocento, nelle forme severe, nelle finestre piccole e inferriate del convento delle Oblate di Santa Francesca Romana. Sullo sfondo, la «cornucopia» scodella l'ultima sorpresa: la cupola grigia del Tempio Israelitico, incastonato nel Ghetto e sulla sponda del Tevere. Bisognerebbe girovagare una settimana, scrivere un libro di mille pagine per vedere e raccontare quanto è stratificato in questo mezzo chilometro quadrato della Capitale. Un quadrilatero più suggestivo perché appartato. Una Roma in miniatura, un compendio della sua magnificenza. «Roma Urbs Mirabilis» recita timida una piastrellina del Comune di Roma all'altezza del civico 26 di via del Teatro Marcello, uno dei varchi del monastero delle Oblate, conosciuto pure come Tor de' Specchi. Già, abbiamo pensato, questo punto di Roma è così discreto nella sua magnificenza che pure il Campidoglio sussurra appena il suo orgoglio. E infatti non vedi le folle ciabattanti, i finti centurioni, i furgoni bar, i venditori di paccottiglia come davanti al Colossseo. Piuttosto i manifesti che annunciano i concerti di musica classicha che l'associazione «Il Tempietto» propone ogni sera, per tutta l'estate. E t'immagini che bell'accostamento può essere ascoltare Liszt sotto le arcate di travertino tirate su duemila anni fa. La chiesa di Santa Rita, che quasi si affaccia sui ruderi, ha un passato da feuilleton. Non stava mica qui quando la famiglia dei Bucabella la costruì - era l'XI secolo - e quando nel 1643 Carlo Fontana la restaurò vestendola di forme barocche. Fino al 1928 si trovava invece ai piedi della scalinata di Santa Maria in Aracoeli. «Impicciava» insomma nella realizzazione della mussoliniana «via del Mare» (così si chiamò per un po' via del Teatro Marcello). Allora il tempietto dedicato alla santa di Cascia fu smontato pezzo a pezzo e ricostruito dove si trova adesso. Così succede che col quattrocentesco palazzo delle Oblate faccia da quinta all'ingresso del Rione X, il Campitelli. Cinquanta metri e subito altre emozioni. Piazza Santa Maria in Campitelli è un'isola dove senti solo lo zampillo della piccola fontana di Giacomo della Porta e il canto delle cicale acquattate tra i pini di Monte Caprino. La chiesa unisce l'omaggio a due Madonne, Maria in Campitelli e Maria in Portico. La vedi di lato, entrando da via del Teatro Marcello. E Carlo Rainaldi, che la disegnò spalmando tutto il repertorio del barocco, pensò a questo impatto «di sguincio» e sistemò sul lato del frontone l'altorilievo con un putto e una ghirlanda fiorita che scende festosa. Sul portale una scritta scolpita invita ad entrare: «Indulgentia plenaria quotidiana perpetua pro vivis et defunctis», assicura. Nella penombra rifulge la macchina «maravigliosa« dell'altare: assembla dardi dorati, raggi luminosi che diricono lo sguardo verso il centro. S'apre qui la piccola immagine miracolosa, la Vergine adorata alla fine di una pestilenza. Tra arte, storia, tradizioni e fede la bellezza ci salverà.

Dai blog