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di MAURIZIO PICCIRILLI «Se la morte è predeterminata è una vergogna morire da codardi.

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Moltecause, una sola morte». Così scrisse Osama Bin Laden. Lo sceicco del terrore, il principe nero, il super terrorista. Lo Sceicco, il Principe, l'Haji o il Direttore e persino 0'Sam come viene chiamato dai suoi con rispetto e per celarne l'identità agli infedeli che con i satelliti ascoltano le conversazioni dei «soldati di Allah» al servizio di Al Qaeda, l'organizzazione fondata negli anni Ottanta da Osama Bin Laden, domina a forza l'andamento del mondo. Al Qaeda è una formazione nata per accogliere i mujaheddin arabi che andavano a combattere per cacciare gli infedeli sovietici dal sacro suolo afghano: l'Emirato del Kharasan. «Geronimo» come lo hanno chiamato i Navy Seals che lo hanno stanato e ucciso appena tre mesi fa. Amato dalle sue quattro mogli e dai suoi figli. Idolatrato dai musulmani di tutto il mondo: t-shirt con la sua effige si vendono in Mali come in Indonesia. I suoi scritti e le sue esternazioni spopolano su internet. Temuto e odiato dall'Occidente. Il volto ieratico. La lunga barba che si è ingrigita con il passare del tempo. Gli occhi vivaci, neri e capaci di sguardi fulminanti. La voce morbida, a volte acuta. Il suo aspetto non assomiglia allo stereotipo del terrorista. I giornalisti occidentali che sono riusciti a intervistarlo ne hanno ricevuto un'impressione diversa a seconda degli argomenti che lo sceicco affrontava: in alcuni casi toni pacati quasi sussurrati; in altri, frasi secche che non prevedevano repliche. Portamento nobile, alto un metro e novanta, andatura leggermente claudicante a seguito di una caduta da cavallo. A volte si è fatto ritrarre appoggiato a un bastone, segno del comando, più spesso imbracciando un AK 47 d'assalto, il fucile mitragliatore kalashnikov sottratto a un soldato russo ucciso durante la jihad contro l'Unione sovietica negli anni ottanta. Ma della sua morte nessuna immagine. Osama, nato nel marzo del 1957 sotto il segno dei Pesci, diviene ingegnere, seguendo la tradizione di famiglia, il padre, il vecchio patriarca Mohammed Awad, procreatore di 57 figli, imparentato alla famiglia reale saudita, creò un impero delle costruzioni e si guadagnò gloria e onori ricostruendo la sacra moschea di Al Aqsa a Gerusalemme e ampliando quelle di Medina e del La Mecca. Ecco Osama, uomo ricchissimo, il suo patrimonio la Cia lo valuta nel 1998 in 350 milioni di dollari, lascia la vita comoda di sceicco-imprenditore e nel 1981, portandosi dietro bulldozer e ruspe, va in Pakistan. L'Afghanistan è stato invaso dall'«Orso» sovietico, comunista e ateo, e lui mette le sue energie al servizio della jihad, la Guerra santa. Anche con l'aiuto dei dollari Usa. Costruisce ospedali e ospizi per vedove e orfani. Poi ostelli per i combattenti della jihad e prepara strade per favorire l'avanzata dei mujaheddin verso Kabul. Sulle montagne di Tora Bora, nel sud est dell'Afghanistan, trasforma le caverne in un enorme bunker che vent'anni dopo sarà la disperazione dei commandos americani. Osama resta legato alla madre, Hamida al Hattas, di origine siriana di cui è l'unico figlio maschio. Alla notizia della morte, la donna avrà un malore ed è stata ricoverata in un ospedale a Damasco. Hamida, chiamata anche Alia, è la figlia di un ricco commerciante siriano. Bella e colta amava vestire all'occidentale, fu l'undicesima moglie del patriarca Mohammed Bin Laden che morì nel 1967 in un incidente aereo. Hamida era considerata nei palazzi sauditi una Al Abeda, «la schiava» del vecchio patriarca. Non era ben vista dagli altri componenti della grande famiglia di Mohammed Bin Laden. Ella infatti non gradiva portare il velo, amava fare shopping a Damasco ed era sicuramente attratta dallo stile di vita occidentale. Osama era indicato come il figlio della schiava. Infanzia a fianco al padre, con il quale trascorreva il tempo a cavallo in un lunghe galoppate nel deserto saudita dove a volte passavano la notte dormendo sotto la tenda. Poi studi a Beirut e Gedda. Vacanze, con i suoi fratelli, a Londra e in Svezia. Osama Bin Laden ama i cavalli. In Sudan durante la sua permanenza, dopo aver lasciato l'Afghanistan nel 1990, aveva impiantato un allevamento di cavalli da corsa e spesso andava a cavalcare nei dintorni di Karthum con Isam Al Turabi, il figlio del leader sudanese. Tornato in Afghanistan a Kandahar teneva i suoi destrieri preferiti. E proprio in sella al suo arabo nero il mito vuole che sia sfuggito alla caccia dei soldati americani. Scrive poesie durante le sue notti insonni. Elegie di guerra che celebrano le imprese dei mujaheddin e la sofferenza dei palestinesi e dei perseguitati dagli infedeli. «Sacrificherò me stesso e la mia ricchezza per i cavalieri che mai mi delusero/ Cavalieri mai stufi e mai impediti dalla morte/ Anche il mulino della guerra gira/ Del calore della battaglia essi non si preoccupano/ e affrontano la pazzia del nemico / con la follia del loro coraggio». Poesia profetica. Ma Osama Bin Laden è soprattutto l'uomo che ha dichiarato guerra agli Stati Uniti. Lo fa con una conferenza stampa nel 1998 convocando a Jalalabad, in Afghanistan, i reporter di mezzo mondo. Con lui i vertici di Al Qaeda, Mohammed Atef, che sarà ucciso nel 2001 da un bombardamento Usa, e Ayman al Zawahri, ora, nuovo capo dell'organizzazione. La bandiera nera della jihad dietro le spalle. Osama Bin Laden espone la sua minaccia. Trascorreranno pochi giorni e i suoi uomini colpiscono gli Stati Uniti: due bombe contro le ambasciate di Washington a Nairobi e da Dar es Salam. L'Amministrazione Clinton lancia due missili contro le basi afghane di Al Qaeda, ma manca il bersaglio principale. Il tentativo di catturarlo a Tarmak Farm, la sua residenza a Kandahar, viene scartata. Troppi civili: bambini e donne. Anni dopo questa premura sarà messa da parte. Passano altri mesi e ad Aden, siamo nel 2000, una nave da guerra Usa, UssCole, viene attaccata: 17 marinai uccisi. Ma nel frattempo venti «prescelti» si stanno preparando a colpire il cuore dell'America. Il piano viene messo a punto in Pakistan, poi in Germania ad Amburgo e si addestrano in Afghanistan. Nel 2001 sono pronti. Ottengono i visti per gli Stati Uniti: sono tutti giovani, sauditi, egiziani e libanesi che provengono da famiglie agiate. In America prendono lezioni di volo. Poi l'11 settembre 2001 entrano in azione. Le conseguenze sono storia. Il «Martedì santo», l'11 settembre 2001, si è compiuto, ma Osama vedrà il risultato in differita: il collegamento satellitare con la Cnn non funzionò. L'America decide di farla finita. Una caccia durata dieci anni. Una guerra in Afghanistan con il sostegno di 30 nazioni, ma Osama Bin Laden sfugge a ogni tentativo di cattura. Lui appare e scompare con video messaggi di minaccia e ogni volta il Mondo trema e teme nuovi attacchi. Al Qaeda si moltiplica nel mondo. Mette radici in Africa, in Asia. In Europa dove sono tanti i convertiti che dall'Occidente vanno in Pakistan e in Somalia per prepararsi alla guerra contro gli infedeli. Colpisce Madrid e Londra. La guerra dell'Occidente contro Saddam Hussein apre un nuovo fronte per i jihadisti di Al Qaeda. Osama ne approfitta e lancia la nuova guerra contro «crociati». Bin Laden ormai è un'icona per l'Islam radicale. Un incubo per il resto del mondo. Lo sceicco di Al Qaeda gode di protezioni che ancora oggi restano un mistero. Tutti lo cercano, nessuno sa dove trovarlo. Dieci anni di messaggi, sempre più rarefatte le apparizioni in video ma tanti proclami audio: la sua voce, come nel più classico dei «nightmare» provoca allarmi e paure. Qualcuno però lo tradisce e il 29 aprile di quest'anno, Obama, divenuto presidente degli Stati Uniti, dà l'ordine ai Navy Seals di andare a prenderlo. Osama Bin Laden infatti vive tranquillo in un compound ad Abbottabad, cittadina sede dell'Accademia militare del Pakistan. Risiede lì da cinque anni con tre mogli, i due gemellini nati appena due anni fa, il figlio Khalid e due nipoti. Non è armato, non ha scorte agguerrite di mujaheddin pronti a immolarsi per difenderlo. Solo due inservenienti che fungono da corrieri per spedire i messaggi che il capo supremo di Al Qaeda prepara nelle sue giornate senza tempo. I commandos della Marina americana fanno irruzione nella casa il 2 maggio. Uccidono uno dei suoi corrieri che si presenta armato. Poi uccidono il figlio Khalid e l'altro uomo presente nella casa. Tre commandos, come raccontano i Navy Seals a Nicholas Schmidle del «New Yorker», trovano Osama al primo piano. Due mogli si frappongono tra loro e il capo di Al Qaeda. Sparano al polpaccio di una di loro e poi le si gettano sopra temendo avesse un giubbotto esplosivo. Osama Bin Laden è in mutande e maglietta, in testa una papalina bianca. Alza le mani e il primo colpo di Mp4 lo raggiunge al petto. È a terra agonizzante, le moglie urlano, i gemellini piangono, e il Navy seals gli spara in faccia. «Nessuno ha mai pensato di prenderlo vivo», racconterà il commando al giornalista del New Yorker. Il 2 maggio 2011 ore 1,30 di notte il terrorista più temuto al mondo è stato eliminato. «Ekia», enemy killed in action, nemico ucciso in azione. L'America ha ottenuto la sua vendetta: Osama è stato ucciso. Due proiettili contro un uomo disarmato. Le vittime dell'11 settembre hanno avuto giustizia. Quella del Far West. Non a caso per il nome in codice dell'operazione Osama era Geronimo. Come ultimo affronto, in spregio alla legge coranica, gli Stati Uniti hanno deciso di seppellirlo in mare nelle profondità del Golfo Arabico. Un messaggio postumo di Osama invitava le masse arabe a continuare le rivolte contro i governi «traditori e apostati» asserviti agli infedeli. Nel suo rifugio sono stati trovati scritti con progetti di attentati e poesie. Testi a carattere religioso e documenti ideologici. Per mantenere il suo menage familiare pendeva una sorta di Viagra naturale. Trascorreva il tempo chiuso in casa a rivedere videocassette con i suoi messaggi e con quelli dei suoi nemici, i presidenti degli Stati Uniti. Quasi un terrorista in pensione. Ora è morto. Ma Osama Bin Laden vive ancora nelle paure che continuano ad attagliare l'Occidente. Mercoledì 17 Ocalan

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