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di GIGI MARZULLO Attore perché? «Perché una voglia innata c'è stata sempre dentro di me, una voglia di esibirmi di fronte ad un pubblico.

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Ilcinema è? «La più bella favola esistente, una realtà fatta di poesia, un proseguimento della nostra immaginazione, la realtà della nostra fantasia». E recitare è? «Un modo per rivivere continuamente la nostra vita come non fosse mai passata». La televisione è? «Una rivista patinata che parla di tutto, che non puoi sfogliare perché si sfoglia da sola e a volte ti costringe a leggere cose che non ti interessano». Mentre la vita è? «Forse di poco valore quando si è giovani e ne abbiamo tanta davanti... man mano che passano gli anni ogni giorno che passa di valore ne ha sempre di più». Dove è nato? «A Bologna, in campagna». Oggi che stagione di vita attraversa? «Tranquilla, a volta con qualche certezza, qualche paura del tempo che passa, tanti ricordi e un solo rimpianto: ancora l'amore per lo spettacolo e la voglia di riuscire a dare qualcosa di più a questo lavoro che mi ha dato tutto». La vecchiaia le fa paura? «No, mi fa paura la malattia». E la solitudine? «Non mi fa paura stare solo: mi fa paura non avere qualcuno che mi ama o qualcuno da amare». La vita va presa a baci o a schiaffi? «La vita va presa e basta: ci pensa lei a baciarci o a schiaffeggiarci. Noi dobbiamo solo cercare di limitare i danni». Come definirebbe finora la sua vita? «Bella, brutta, bellissima, la vita che mi sono meritato, la vita che mi ha dato tanto e che mi ha preso tanto. La mia vita, se tornassi indietro, non la cambierei. Se togliessi le cose brutte probabilmente toglierei anche quelle bellissime». La libertà è? «La più bella definizione è quella di Gaber: libertà è partecipazione». Il potere è? «Una malattia». Crede in Dio? «Mio padre faceva il sacrestano ed è morto nella sua chiesa mentre lavorava. È lui che mi ha insegnato a credere in Dio e lo ringrazio». E nel matrimonio ci crede? «No. Credo nell'amore. Credo nell'amore che negli anni si trasforma e che può diventare anche eterno. Un giorno scrissi a mia moglie: il giorno che mi lascerai non chiudere la porta e non salutarmi quando te ne andrai, così io penserò che sei uscita un attimo e poi ritornerai». Che rapporto ha con la morte? «Pessimo perché non la si può evitare e non si può farle cambiare idea. Mi fa paura e non c'è alcun dialogo». Un rimpianto? «Non avere avuto figli». Un rimorso? «Non aver voluto figli». L'ultimo film di Avati com'è? «Come tutti i suoi film: la realtà raccontata con la poesia. È un film bellissimo, pieno di ricordi e di atmosfere girato da un maestro con ottimi attori. Le musiche di Lucio Dalla». E il suo ruolo? «Il mio ruolo è importante e per me è stato davvero un premio». Il cinema che le piace fare? «Quello che porta il pubblico a vivere una favola che ha già vissuto senza accorgersene, triste o allegra che sia». Il cinema che le piace vedere? «Mi piace vedere tutto il cinema che mi sarebbe piaciuto fare». E in tv cosa guarda? «Tutto tranne le tante trasmissioni dove si litiga e basta. Trovo che siano il massimo della volgarità e il minimo dell'intelligenza». Le manca un figlio, diceva. «Ho scritto un libro che si intitola "Ti avrei voluto volere quella volta che non ti ho voluto"». Ama il calcio? «Così così. Preferisco il basket o il tennis e amo la Pennetta». Tifa per quale squadra? «Il Bologna da sempre». Ma lei si piace? «Si poteva fare meglio, ma mi accontento di essere simpatico». Cosa non sopporta? «L'invidia il peggior difetto dell'uomo». L'Italia è il Bel Paese? «È il più bel Paese del mondo... quando ce ne accorgeremo noi italiani?» Meglio aver amato e perduto che non aver mai amato? «Un giorno ho scritto: ho visto un uomo morire per amore non perché l'amore lo aveva lasciato, ma perché non aveva trovato un amore per cui vivere».

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