di SARINA BIRAGHI Doti belliche e crudeltà.

Nelledecorazioni dei sarcofagi di Tessalonica sono donne guerriere ma hanno corpi morbidi e sensuali come cortigiane. Nelle ceramiche attiche a figure nere o rosse sono eroine in sella a destrieri con copricapi a punta. Gli Sciiti le chiamavano Oriopata o «assassine di uomini», ma quando Achille uccise la loro regina Penthesilea, nell'assedio di Troia, si innamorò perdutamente del suo viso morente. Quello delle Amazzoni è uno dei miti più antichi e potentemente ambigui (il riferimento epico più lontano è nell'Iliade), donne simbolo della libertà femminile conquistata diventando più abili, anche se più crudeli, degli uomini. Sarebbero vissute nella Scizia o in un'area imprecisata delle montagne del Caucaso da cui sarebbero migrate, successivamente, sulla costa centro-settentrionale dell'Anatolia per spingersi fino al Nord Africa. Figlie del dio Ares, il nome in greco significa «coloro che non hanno seno», perché si credeva che queste donne guerriere se lo bruciassero per tirare meglio l'arco, ma forse questa definizione è fantastica visto che in lingua armena la parola «amazzone» significa «donna-luna». Nell'immaginario collettivo sono femmine che non amavano gli uomini: si univano a loro soltanto una volta l'anno per procreare, preferendo uomini menomati, privi di una gamba o di un braccio, perché per loro «lo storpio è l'uomo che sa fare meglio l'amore». I bambini che nascevano, se maschi, li allevavano fino a sette anni poi li restituivano ai loro padri, se femmine, le tenevano per educarle nell'arte della caccia e della guerra. Le amazzoni sono le prime donne soldato, sono quelle che hanno dato origine alla società matriarcale, sono regine oltre che guerriere. E venivano tradizionalmente governate da due regine, una della pace (politica interna) e una della guerra (politica estera). Tra le regine amazzoni più conosciute si ricordano Myrina, che sconfisse il popolo degli Atlanti, Penthesilea, che fece perdere perdere la testa ad Achille, Ippolita che aveva la prodigiosa cintura che le aveva regalato il dio Marte. Ercole, per togliergliela, dovette affrontare la «nona» fatica. Le armi principali delle Amazzoni erano l'arco, l'ascia bipenne e uno scudo particolare, piccolo e a forma di mezzaluna, detto pelta. Prima di ogni battaglia suonavano il sistro, uno strumento dal suono limpido e cristallino, per ingraziarsi gli dèi. Selezionavano i loro cavalli instaurando un rapporto di affiatamento totale che le rendeva delle perfette centaure. Cavalcavano stalloni, nel periodo in cui i Greci si accontentavano di pony. Il combattimento a cavallo era la loro specialità. Sul cavallo, infatti, avevano la capacità di ruotare più velocemente della ruota di un vasaio. Anche nella corsa erano molto abili, e se cominciavano a correre nello stesso momento in cui veniva scoccata una freccia dall'arco, prima che essa cadesse a terra l'afferravano. Ma sapevano anche andare in barca, infatti famosi erano i loro giochi Targarèi: cinquanta imbarcazioni, chiamate titalnès, si affrontavano sul fiume Termodonte (in Leucosiria sulla costa meridionale del mar Nero), scagliate una verso l'altra a velocità folle, e vincevano quelle le cui «targaira», amazzoni in piedi sulle barche con le aste in pugno, riuscivano a sostenere l'impatto senza cadere in acqua. Le origini delle Amazzoni, almeno delle più note, si collocano in Grecia ma tracce della loro esistenza emergono anche dalla storia dell'Africa: nel 17mo secolo il re del Dahomey (Benin) aveva guardie del corpo donne, (oltre a partecipare ai combattimenti, erano i boia che effettuavano le esecuzioni capitali dei prigionieri mediante la decapitazione) fino alla conquista francese del 1894; ancora oggi (comunque fino alla rivolta interna) Muammar Gheddafi, il raìs libico, si avvale di una guardia del corpo femminile. Nella «Biblioteca storica» di Diodoro Siculo, autore greco che visitò l'Egitto nel I secolo a.C. in occasione della 180ma Olimpiade (60-56 a.C.) e pubblicò la sua opera nel 30 a.C. prima che l'Egitto diventasse provincia romana, si parla di «amazzoni libiche più antiche di quelle del Termodonte, che hanno compiuto grandi imprese». Diodoro riferisce che «ci sono state in Libia varie razze di donne guerriere» delle quali evidenzia bravura e coraggio. E aggiunge: «Si dice che ai confini della terra e a Occidente della Libia ci sia una nazione governata dalle donne... Era libica la regina Myrina che aveva un esercito di trentamila donne di fanteria, e di ventimila a cavallo. Si copriva con pelli di serpente, che la Libia produceva in gran quantità, ed era insuperabile nell'uso di spade e lance. Myrina governava «un'isola nel lago Tritonide, ai piedi di quel paese che i Greci chiamano Atlante» ma assoggettò i territori circostanti spingendosi fino in Egitto. Qui divenne amica di Horus, figlio d'Iside, che era in quel tempo il re del paese. Poi, andò a fare la guerra agli Arabi e ne sterminò un grandissimo numero. In seguito, sottomise tutta la Siria: gli abitanti della Cilicia le andarono incontro offrendole doni e promettendole di sottomettersi volontariamente ai suoi ordini. Myrina lasciò loro la libertà perché si erano arresi spontaneamente: perciò ancor oggi sono chiamati Eleuthero–Cilici. Dopo aver fatto la guerra ai popoli che abitano presso il monte Tauro, famosi per la loro forza, Myrina entrò nella grande Frigia e qui costruì molte città: a una diede il suo nome, alle altre diede il nome delle Amazzoni che avevano comandato i principali corpi d'armata, come le città di Cyme, Pitana e Priene, che si trovano sul mare, e ne fondò diverse altre all'interno. Sottomise anche alcune isole tra cui Lesbo, ove fondò la città di Mitilene, dal nome di sua sorella, che aveva partecipato alla spedizione. Mentre andava a sottomettere altre isole, la sua nave fu colpita da una tempesta; implorò la madre degli dèi affinché la salvasse. Fu gettata su un'isola deserta: seguendo un avvertimento ricevuto in sogno, consacrò tutta quell'isola alla dea che aveva invocato, le eresse degli altari e istituì sacrifici in suo onore. Diede a quell'isola il nome di Samotracia che, tradotto in greco, significa «isola santa». Alcuni storici però sostengono che quell'isola dapprima si chiamasse Samos e che dopo divenne Samotracia, dai Traci che vi abitavano. Myryna combattè anche contro gli Atlanti, distrusse la loro città ma ne fondò un'altra e la popolò con tutti gli indigeni che aveva fatto prigionieri, che volessero abitarvi. Dopo di che, gli Atlanti le fecero doni magnifici e le tributarono pubblicamente grandi onori, e lei promise di proteggerli dalle loro più acerrime nemiche, le Gorgoni. Queste si schierarono in battaglia e il combattimento fu accanito, ma le Amazzoni le sopraffecero, ne sterminarono un gran numero e fecero più di tremila prigioniere. Poiché le altre erano fuggite nei boschi, Myrina, che voleva distruggere completamente quella nazione, appiccò il fuoco e si ritirò alle frontiere del paese. Una notte, le Gorgoni prigioniere riuscirono a riprendersi le spade e sgozzarono un gran numero di Amazzoni, ma furono presto sopraffatte. Furono tutte uccise, dopo una vigorosa resistenza. Myrina fece bruciare su tre roghi i corpi delle compagne uccise e fece innalzare con la terra tre grandi tumuli, ancora oggi chiamati le tombe delle Amazzoni. Ciò che rimase dell'esercito di Myrina fece ritorno in Libia, dove il mito delle donne guerriere s'intreccia con quello delle donne berbere. Nella mitologia di questa razza nomade, infatti, ci sono due figure carismatiche che racchiudono le doti delle amazzoni: l'autoritaria antenata e regina dei Tuareg, Tin Hinan, e Kahina, una delle maggiori oppositrici all'invasione araba del Nord Africa. Nella etnia Tuareg, quella degli «uomini blu» (cosiddetti per la «tagelmust» il velo indaco con cui solo gli uomini si coprono il volto su cui rimangono tracce di colore) la donna eredita molti diritti delle antiche antenate proto e paleoberbere. È la femmina, che non si copre il volto ma solo il capo con un velo, ad avere un ruolo centrale nella famiglia e nella società, è depositaria della cultura (scrittura, tradizione orale), ha un ruolo economico, trasmette il rango ai figli, può divorziare e restare proprietaria dei principali beni familiari. La regina Tin Hinan (tin heinan, in tamshaq, «quella delle tende») nell'universo mitico dei Tuareg, segna l'inizio della storia per questo popolo originariamente nomade e privo di una letteratura scritta. Del mito di Tin Hinan, tramandato esclusivamente per via orale, esistono innumerevoli versioni. Con alcuni punti cardine. In un tempo imprecisato e remoto, una regina profuga dal suo regno (localizzato nel Tafilalet, ai confini con il Marocco) giunge nel Sahara con la fedele ancella, Takamat. Dopo molte avventure, le due donne riusciranno a sopravvivere e ad approdare in una regione, quella dell'Hoggar, dove vive una popolazione autoctona ignorante e “senza dio”, gli Issabaten. Nell'Hoggar, Tin Hinan getterà le basi del suo nuovo regno: sono le origini della nobile etnia dei Tuareg. Da lei e dalle sue discendenti avranno origine le tribù nobili, mentre dai discendenti della sua ancella Takamat discenderanno le tribù vassalle. Due donne, quindi, sono i capostipiti delle principali classi sociali alla base della società Tuareg. Il ruolo determinante di Tin Hinan nella costruzione della cultura e dell'identità dell'etnia Tuareg ricorda per molti aspetti quello ricoperto da un'altra eroina della tradizione berbera, Kahina. Era la regina della potente tribù, forse di origine ebraica, dei Djeraoua, vissuta nel cuore dell'Aures nel VII secolo dopo Cristo. Kahina era di una bellezza straordinaria ed aveva poteri soprannaturali, prevedeva il futuro e guariva le malattie, ma era anche crudelmente abile ad amministrare la giustizia. Sarà lei a guidare l'esercito per respingere gli Arabi che volevano invadere Nord Africa, decisa a difendere la propria fede dall'imposizione dell'Islam. Nessun'altra leggenda del Nord Africa è stata trasformata, diffusa e raccontata come il mito di Kahina: la sua storia è stata il supporto ideologico per le battaglie contro il colonialismo, punto di riferimento per il nazionalismo Nord africano, cardine per la rivendicazione dell'identità berbera e per il femminismo dei paesi arabi. domani Tanaquilla l'etrusca