Quando il tradimento è «Perfezione»
diDINA D'ISA Eros e Thanatos. Un connubio perfetto che scatena passioni, follie e vendette, ispirando da secoli narratori e poeti, infiammando leggende mitologiche e deviando i corsi della Storia. Dal tradimento coniugale ampiamente praticato dagli dei greci ai versi danteschi di Paolo e Francesca, e al suo tragico epilogo per mano del marito tradito, Gianciotto, fino all'Otello shakespeariano. Ma in realtà chi si tradisce, un amore, un'idea o se stessi? Per Milan Kundera «tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l'ignoto». Il tradimento diventa così uno strumento, un modo per superare la noia di un legame, che può finire per trasformarsi con il tempo in un rapporto paralizzante. Si può così tradire per raggiungere una meta diversa, per fuggire da un immobile stato delle cose, oppure per provare di nuovo emozioni troppo a lungo sopite. Ma il tradimento può anche essere una reazione, una vendetta o una punizione verso chi ci ha ferito. Ma cosa succede quando si scopre che l'uomo con cui si è stata sposata per 16 anni non era altro che un misero traditore? Non si può fare altro che rodersi dentro, visto che quell'uomo è appena morto per un arresto cardiaco. Come in un film fuori fuoco, la protagonista Julie è costretta a riavvolgere il nastro nel tentativo di capire. «Perfezione Storia di un tradimento» di Julie Metz (pp. 382, ed. Giunti, euro 15) è un racconto straziante (diventato subito best seller) di una graphic designer del New York Times. Dalle pagine del romanzo si dipana un viaggio lungo e doloroso, preludio di un'autentica rinascita femminile. Ma è davvero possibile amare per tanto tempo una persona e non sapere chi sia realmente? Le frivolezze del tradimento riempiono la vita di eccitazione e di gioia al pensiero che davanti si apre una nuova strada, una nuova avventura, perché l'esistenza che si conduce non è abbastanza soddisfacente. L'ignoto che si cela dietro una attrazione fatale diventa accattivante. Il desiderio di un'altra opportunità per essere felice è lo stesso coltivato (invano) da Emma, la protagonista dello struggente romanzo di Flaubert, «Madame Bovary». Emma tradisce perché è infelice, o meglio perché annientata dalla necessità di fingersi felice. Ma un tradimento può restare anche incompiuto, cercato per caso, tanto indefinito da apparire irreale, quasi un sogno. È il caso narrato nel romanzo di Edith Wharton «L'età dell'innocenza», poi trasposto magistralmente sul grande schermo da Martin Scorsese. Il vero inganno è quindi l'idea stessa del tradimento, reale o meno che sia, e porta sempre alla perdita della persona amata o alla perdita di se stessi. Il tradimento si svela così in tutta la sua ambiguità e insensatezza, come un tarlo cattura i desideri fino a renderli irrefrenabili. Ma il protagonista del romanzo di Wharton, interpretato intensamente da Daniel Day-Lewis, si appella a tutta la sua forza morale per non consumare il tradimento: sceglie la ragione (e resta accanto a una moglie gentile, affettuosa ma noiosa) reprimendo il sentimento (la passione per una donna bella, autonoma e anticonvenzionale). Eppure, per dirla con Kundera, dietro al desiderio di tradire si può celare anche e semplicemente «L'insostenibile leggerezza dell'essere: è questa la meta».