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diCARLO ANTINI Il video ha ucciso le star della radio. Mai titolo fu più profetico. Più che uno slogan, è una dichiarazione d'intenti. Era il 1981 e il videoclip di «Video killed the radio star» dei Buggles andava in onda per la prima volta. Era il primo video trasmesso dalla neonata Mtv, un nuovissimo canale musicale che allora si vedeva solo in Nord America. Nessuno poteva neanche lontanamente immaginare che eravamo di fronte a una sorta di Big bang culturale. Un punto di non ritorno che avrebbe cambiato le sorti del pop e del piccolo schermo. Per sempre. Da allora la musica avrebbe perso quello che restava della sua aura romantica per intrecciare la propria natura con quella delle immagini in movimento. I musicisti cominciarono a preoccuparsi anche dell'aspetto visuale delle loro canzoni. Fino alle estreme conseguenze. Fino a comporre facendosi guidare direttamente dalle esigenze del videoclip. Anche se i primi esperimenti pionieristici risalgono agli anni Settanta, è solo negli Ottanta che si afferma la tendenza. Grazie soprattutto a Mtv che trasmetteva videoclip 24 ore al giorno. È in questi anni che esplodono fenomeni mediatici e di costume come Madonna. L'artista italo-americana costruisce il suo personaggio puntando su mille mutazioni di facciata. L'aspetto fisico diventa lo specchio dello stile musicale. Ogni nuovo album di Miss Ciccone porta con sé un cambio di sonorità e un nuovo look. Dai guanti neri e catenoni di «Like a virgin» al romanticismo supervamp di «Material girl». Dal biondo platino anni Cinquanta di «True blue» alle provocazioni minimaliste e anni Quaranta di «Vogue». Fino alle più recenti performance atletico-agonistiche di «American Life» e «4 Minutes». Non c'è dubbio che Madonna ha saputo interpretare prima degli altri e meglio degli altri la nuova epoca, facendo non solo tendenza musicale ma dettando legge anche come vera icona di stile. Milioni di persone nel mondo si sono vestite come lei. Come l'avevano vista nell'ultimo video. Molto presto le immagini che accompagnavano le canzoni cominciarono a emanciparsi completamente. Fino a diventare indipendenti, fino a diventare un'autonoma opera d'arte. «Thriller» di Michael Jackson è l'album più venduto della storia e il videoclip dell'omonimo singolo è un vero e proprio cortometraggio diretto da John Landis, regista cinematografico di fama internazionale. Sempre più spesso è il musicista che mette in scena il suo brano, proprio come Jacko che nel corto si trasforma in uno zombie assetato di sangue. La rappresentazione della musica diventa predominante. Da qui nascono i fenomeni costruiti a tavolino di boy band come Take That e Backstreet Boys. Ragazzoni messi insieme solo perché funzionano davanti alle telecamere piuttosto che per le loro doti canore. Fino alle estreme conseguenze. Fino all'istrionismo (a volte fine a se stesso) di Lady Gaga che si cambia d'abito e d'acconciatura come una scheggia impazzita. Specchio perfetto della centrifuga culturale nella quale siamo immersi tutti. Fuga dal centro, appunto, come perdita e annebbiamento dell'identità. Scatole cinesi senza più un verso di lettura. Figura androgina nel flusso glocal. Ma la musica e la tecnologia non si fermano. La rivoluzione digitale e il suono «liquido» hanno messo a dura prova anche la resistenza della distribuzione discografica tradizionale. Il supporto non esiste più. La musica e il musicista sono diventati completamente immateriali. Loro malgrado. Il disco si sta trasformando in un programma, un software digitale da scaricare e installare sul proprio pc, smartphone o iPad. L'esperienza musicale è multisensoriale e la multimedialità della comunicazione diventa il nuovo standard. I primi a muoversi saranno Bjork e gli U2 che faranno uscire le loro nuove canzoni come App da scaricare. Alle note si accompagneranno immagini, foto, video, commenti in un percorso di riproducibilità tecnica all'ennesima potenza. Fino al confine di una nuova dimensione. Dove più nulla suonerà come prima.

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