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Ideali e legami

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diGENNARO MALGIERI In un lembo d'Italia, quasi ai margini della grande storia nazionale, s'intrecciano e si consumano tra la fine dell'Ottocento e i primi quarantacinque anni del Novecento, quattro storie di amicizia e passioni, tradimenti ed incomprensioni, distacchi e riconciliazioni nella cornice di un destino complesso e tragico che ha segnato la vita di un'intero popolo. Tra Predappio, Santa Sofia e Civitella, un triangolo di appena venti chilometri, dove la commedia umana è esplosa, nell'arco di tempo ricordato, nei colori accesi degli amori e della politica, delle virtù rivoluzionarie e dei fervori giornalistici dando luogo ad una eccentrica narrazione del carattere di genti appassionate e geniali, umorali e generose, l'incontro tra Benito Mussolini, Nicola Bombacci, Leandro Arpinati e Torquato Nanni è l'esemplificazione di ciò che quella terra è riuscita a seminare, nel bene e nel male. Il raccolto sappiamo quale è stato, ma se qualcuno lo avesse dimenticato Giancarlo Mazzuca e Luciano Foglietta ce lo ricordano in un denso e coinvolgente saggio appena uscito: «Sangue romagnolo. I compagni del Duce» (prefazione di Sergio Zavoli, pag. 254, euro 18, Minerva edizioni). I protagonisti biografati, a vario titolo amici, sodali e ad intermittenza "nemici" (ma mai fino in fondo e comunque sempre e soltanto sul piano politico, poiché quello umano mai fu in discussione) oltre a raccontarci una parte non marginale della vicenda personale del capo del fascismo, ci introducono ad una storia unitaria che potrebbe intitolarsi al socialismo irrisolto. Oppure, se si preferisce, alla tentazione di un'utopia che comunque ha attraversato il regime mussoliniano fino al suo epilogo, segnato non soltanto dallo scempio di piazzale Loreto, ma anche dal grido strozzato davanti al plotone d'esecuzione partigiano a Dongo di Bombacci, fondatore del Partito comunista d'Italia nel 1921: "Viva il socialismo!". Si compiva così, l'ultimo atto di un dramma italiano iniziato molti anni prima, quando i due amici romagnoli, sognando la rivoluzione, finirono per trovarsi l'un contro l'altro e poi ancora insieme ma distanti ed infine tutti e due appesi per i piedi ad un distributore di benzina davanti ad una folla feroce e urlante. Il Duce e l'amico di Lenin. Questi che venne respinto ed estirpato dalla storia che aveva scritto con le sue azioni da compagni cinici ed ideologicamente azzimati: Gramsci e Bordiga prima, Togliatti e Longo poi. L'altro tradito da chi lo aveva osannato, fin nella sua stessa famiglia. Ed il loro sangue romagnolo tinse un ramo del lago di Como. La stessa fine toccò ai due amici di entrambi, Arpinati e Nanni, fascista l'uno ma in disgrazia poi, antifascista l'altro, ma a modo suo mussoliniano non foss'altro per aver lavorato con il socialista di Predappio prima all'Avanti! e poi al Popolo d'Italia, massacrati senza ragione in quel di Malacappa, quaranta giorni prima del 25 aprile, da un commando di otto partigiani. Nanni fece scudo con il suo corpo a Leandro, ma tutti e due stramazzarono a terra, l'ex ministro mandato al confino e l'avvocato antifascista rimasto fedele ad una certa idea di socialismo. Perché dovevano morire? Mazzuca e Foglietta nel dettagliato racconto delle traversie dei compagni di Mussolini ci fanno capire come la morale di tutta la loro storia è quella di un "mutuo soccorso" tra amici non sempre in sintonia, ma legati a qualcosa di molto più profondo della politica nell'accezione corrente. Una questione di "sangue" o di fedeltà agli ideali della giovinezza? Non lo sapremo mai. Certo è che il legame profondo che caratterizzò le esistenze tumultuose e tragiche dei quattro romagnoli, paradossalmente, come dimostrano i tanti episodi ricordati dagli autori di questo suggestivo libro, superò fascismo ed antifascismo, socialismo e nazionalismo, sostanziandosi comunque di una fede rivoluzionaria che nessuno riuscì a soddisfare a pieno, ma soprattutto si radicò in un sentimento di amicizia capace di abbattere steccati e divisioni.

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