E nell'età dei Flavi teneva banco Apollo
diVALERIO MACCARI Apollo, restituito alla luce. Dopo quasi venti secoli, un mosaico del dio, che i romani ancora più dei greci identificavano con il sole, riemerge dal ventre del Colle Oppio. Un'opera di eccezionale rilevanza archeologica e artistica, databile intorno alla seconda metà del primo secolo, che raffigura Apollo nudo, con un manto sulla spalla e la cetra sul braccio sinistro. Il dio è ritratto in compagnia delle muse, e ha le fattezze di un giovane muscoloso, dall'addome cesellato con un raffinato chiaroscuro, ottenuto con l'utilizzo di tessere di tre gradazioni diverse. A trovarlo è stata la Sovraintendenza dei Beni Culturali, che ha ripreso quest'anno gli scavi archeologici dell'area sottostante il criptoportico delle Terme di Traiano. Siamo sulle pendici sud occidentali del colle, a breve distanza dalla domus aurea neroniana e il Colosseo. Qui si apre una galleria sotterranea di una ventina di metri, costruita per sostenere le terme dell'imperatore, realizzate su progetto di Apollodoro di Damasco. Diventata, nel corso dei secoli, una delle tante grotte dell'Oppio, la galleria ospitò in epoca napoleonica le munizioni dell'esercito francese, e negli anni'80 fu deposito dell'Ama. Solo verso la fine degli anni '90 l'area diviene oggetto di indagine archeologica. E restituisce più capolavori: come l'affresco della «città ideale», riportato alla luce nel 1998, e il mosaico del Filosofo e della Musa. Il mosaico di Apollo sembra essere una continuazione di quest'ultimo: lungo 16 metri, si estende su una parete che è stata ancora solo parzialmente scavata, e che potrebbe proseguire per dieci metri di profondità. Il dio costituiva probabilmente la figura centrale di una composizione che adornava un Musaeum, la stanza dedicata alle arti di una ricca domus privata, costruita dopo l'incendio di Roma del 64 dopo Cristo. L'imperatore Traiano, per la costruzione delle sue terme popolari, nel 109 d.c, non esitò a distruggere. «A quei tempi l'urbanistica aveva altri metodi», scherza il Sovraintendente Umberto Broccoli, presentando il reperto. «Qualcuno qui ha costruito una grande casa patrizia quasi totalmente coperta di mosaici e pitture, dunque ricchissima, e più o meno nell'anno 100 qualcun altro ha deciso che questa casa non dovesse più esistere, e sopra si realizzò una grande area termale. Un'operazione urbanistica spericolata, un esproprio di una casa patrizia per costruire una struttura popolare». Che però, paradossalmente, ha permesso di conservare un settore di oltre 1000 metri quadri di Città antica, finora sconosciuto, la cui vita si è interrotta alla fine del I secolo. L'intenzione della sovraintendenza, adesso, è di completare gli scavi dell'area e di restituire il chilometro quadro di Roma perduta ai romani. Per farlo, però, necessitano fondi: 200mila euro per continuare lo scavo e renderlo visibile al pubblico già dal prossimo autunno e altri 480 per sostenere tutto il cantiere dell'area del criptoportico. Risorse da trovare, suggerisce Broccoli, anche con uno sponsor. «Sono stanco dei dirigenti che si piangono addosso. Le risorse vanno cercate, siamo nel Terzo Millennio e la crisi economica è generalizzata, dunque per la cultura è importante pensare a nuove forme di finanziamento». Il metodo a cui guarda Broccoli è quello trovato per il Colosseo, in restauro grazie alla sponsorizzazione del patron di Tod's. «Della Valle insegna: il tempo delle vacche grasse è finito, dunque ben venga la pubblicità governata, come appunto la sua al Colosseo. E ben venga anche l'uso privato o privatizzabile del bene».