Il tocco di Simenon
diLIDIA LOMBARDI Scandagliare negli abissi dell'animo. Scavare nella zona d'ombra, dove si trova il peggio. Dove tiene banco la debolezza che ci plasma, la tabe che orienta il nostro essere, e il nostro destino. Ce ne sono a bizzeffe, di libri appena pubblicati, di autori divi che affondano in storie di degrado, di brutale insicurezza. Alcol e droga a gogò, perversioni sessuali, giovani stesi nel loro vomito in un cortile di Londra (ecco un racconto di Kureishi, per esempio). O in una stazione metro di Ny. Tutto squadernato con un occhio al pulp. Tutto descritto. Meticolosamente. Troppo. Ci abbiamo pensato in questa stagione che invita più di ogni altra a leggere. Paragonando i lavori appena finiti e pubblicati a precipizio a un denso romanzo scritto in Savoia nel 1935 e in libreria dopo due anni di attesa. Un altro pianeta. Soprattutto un altro autore. Un gigante come George Simenon. Il libro s'intitola «L'assassino», l'ha riedito Adelphi che dal 1985 squaderna per i suoi raffinati lettori il belga che scrive in francese e che è il secondo più tradotto nella lingua di Sarkozy. Dunque, «L'assassino». Non c'entra niente Maigret, anche se già Simenon l'ha inventato. No, clima e plot sono più introspettivi e più surreali. E però - sta qui la classe - tutto scorre liscio nella lingua senza fronzoli, nello sviluppo svelto dei fatti. Come una biglia che rotola sicura su un piano inclinato. La storia racconta di un borghese piccolo piccolo, Hans Kuperus. Vive a Sneek, provincia olandese, esercita in casa la professione di medico, è sposato con una donnina che ha nella dolcezza da budino il suo fascino. Il massimo dell'evasione, per il dottore - occhi sporgenti, palpebre spesse e l'abitudine di indagare il suo aspetto allo specchio - è la spedizione mensile ad Amsterdam, per la riunione all'Associazione di Biologia, e la partita serale di biliardo nel caffè a due passi da casa sua. È qui che misura il suo status sociale. Il club riunisce i maggiorenti del paese. Ed è presieduto dal personaggio che Kuperus vorrebbe vedere quando si specchia. Il conte Shutter, il più bello, ricco, elegante di Sneek e presidente per acclamazione dell'Accademia del Biliardo, la carica che il medico sogna da sempre. È anche un donnaiolo, Shutter. E s'è portata a letto anche sua moglie, secondo la lettera anonima che Kuperus riceve un bel giorno. È la molla che smuove il perbenismo del protagonista e del suo mondo. Compra una pistola ad Amsterdam - in uno dei soliti martedì dedicati alla riunione dei biologi - e di ritorno sorprende moglie e invidiato amante e li uccide. Fa affondare i corpi nel lago, in un inverno livido assediato dalla neve. Ecco, la ribellione è compiuta, Kuperus è un uomo nuovo. Se ne infischia della rispettabilità al punto da portarsi a letto la serva - concupita senza mai osare - la sera stessa dell'assassinio. Ma quando il disgelo riporta a galla i corpi e a Sneek ogni cosa è chiara, Kuperus si danna l'anima: tutti sanno che ha ucciso ma nessuno lo arresta. Piuttosto, gli consigliano di farsi in viaggio e ricostruirsi altrove la vita da vedovo. La crosta di un'esistenza senza sussulti si chiude, il mostro è «regolarizzato» e digerito. La melma sta sotto le scarpe di tutti, ma nessuno vi affonda. E le luci ambigue sono quelle di un abat jour nel salotto di Kuperus, sul centrino ricamato da sua moglie, dove cade lo sguardo del protagonista mentre parla con il migliore amico e signora che naturalmente sanno e fanno finta di non sapere. Simenon costruisce dettagli cinematografici, memorabili inquadrature. Tanto più è feroce col suo personaggio e col milieu che lo circonda quanto più rarefatta è la sua parola. Kuperus diventa il fantasma di se stesso. «...era riuscito a fuggire da quella realtà. Ma, spaventato dal vuoto, vi aveva fatto subito ritorno, e si era aggrappato ai muri, alle case, a tutte le sue abitudini...». La banalità del male. Senza effetti splatter.