di SARINA BIRAGHI Nell'epoca del disincanto non troviamo risposte.
Bastipensare al rapporto tra l'individuo e la globalizzazione, alla missione della politica e alle promesse tradite, alla difficoltà di legami nelle città moderne lontane anni luce dal concetto di «polis» come luogo dell'anima, all'eterno conflitto tra potere e morale. La filosofia può ancora rispondere alle domande che ci poniamo ogni giorno, può essere una bussola per la nostra vita o è condannata a rimanere un'astrazione lontana dalla realtà? Con «I giorni della vita» (Editrice San Raffaele, pag. 245) Giuseppe Cantarano, professore di Storia della Filosofia all'Università della Calabria, allarga gli orizzonti mentali aprendo a una più profonda comprensione della realtà offrendoci pagine che fugano ogni dubbio. Del resto, il bisogno di filosofare secondo Aristotele nasce dalla «meraviglia», ovvero dal senso di stupore e di inquietudine sperimentata dall'uomo quando, soddisfatte le immediate necessità materiali, comincia ad interrogarsi sulla sua esistenza e sul suo rapporto con il mondo. Lucido nell'esame della contemporaneità, appassionato nello slancio verso una società migliore Cantarano, che è anche segretario nazionale del Centro per la filosofia italiana, è convinto che sia necessario «riappropriarsi» filosoficamente della nostra esistenza. In sostanza bisogna riannodare le parole della filosofia con la nostra vita, con la nostra esperienza umana, affinchè analizzi le nostre ansie, le nostre angosce ma, soprattutto, la nostra speranza di salvezza. Avendo la consapevolezza, avverte l'autore, che la filosofia non è altro che una diagnosi impietosa, radicale, irreligiosa del tempo presente, del mondo che abitiamo, e «non può più orientare le proprie domande sulle realtà ultime, quali la morte e la vita oltre questa vita, che appartengono all'Età di Dio Padre, ma soltanto sulle realtà penultime. Quelle della nostra esperienza quotidiana, quelle che esistono nell'Età di Dio Figlio. Sapendo tuttavia che l'Età del Figlio, il tempo che viviamo, resterebbe incomprensibile senza l'Età del Padre, il tempo che verrà». Il testo parte dall'esame della globalizzazione ormai imperante nel mondo occidentale, che non unisce ma al contrario separa l'individuo da ogni appartenenza comunitaria, da qualsiasi autentica vita sociale e affettiva, perché in nome del mito dello sviluppo si sacrifica ogni cosa. E così l'uomo viene sradicato, privato della sua identità eppure senza possibilità di averne una nuova. Nell'era del dominio economico lo riduce a produttore e destinatario di beni. E se la politica stessa viene risucchiata dall'economia e l'economia monetaria diventa metafisicamente «naturale», anche la democrazia tende a svuotarsi. L'unico rimedio a questa «escalation» che potrebbe adottare l'Europa, pienamente coinvolta nel processo di globalizzazione, sarebbe riportare in primo piano la persona e la politica. La politica come motore della storia, quella socialmente intesa che reintroduce nella storia il futuro e la speranza. E l'antica Europa potrebbe farlo anche recuperando la sua memoria «mediterranea», quasi un argine contro l'assedio dell'Asia, dell'Africa, dell'Islam. Dall'Europa alla persona, la speranza politica del futuro è proprio quella che oggi manca nell'individuo, perché politica e diritto si sono pericolosamente intrecciati e la politica ha ceduto al diritto il suo ruolo di trasformatrice, di garante del divenire ed entrambi sono caduti sotto il dominio della tecnica e dell'economia. Altro tema nel mirino del filosofo, la città moderna. L'architettura contemporanea ha stravolto il concetto di polis, come luogo della comunità umana, quello dell'accoglienza, dell'interazione e degli interessi condivisi. Le città del mondo globalizzato si «percorrono» ignorando gli altri che le attraversano a fianco a noi. Poi l'analisi sugli aspetti del potere, la tragedia del nichilismo, il mistero della Croce e quello della morte e dell'eternità. Le domande dell'individuo carico di angoscia, paura, speranza di salvezza, ma anche di disincanto e disperate disillusioni. E allora, la filosofia ci può aiutare? «È quanto mi sono proposto con «I giorni della vita» attraverso una "ricerca di confine" iniziata anni fa - dice il prof. Giuseppe Cantarano - Una ricerca che lambisce territori, linguaggi, orizzonti spesso apparentemente distanti, ma non per questo estranei tra di loro. Tutti infatti hanno come loro centro l'esistenza umana e come loro scopo quello di restituire all'indagine filosofica la sua linfa vitale». Insomma, la filosofia non ci salverà ma qualche risposta può ancora darcela.