Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Il mostro buono

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

diANTONIO ANGELI È la storia di un pezzo della cultura di questi ultimi anni e l'avventura di un ribelle introverso diventato famosissimo, ma è anche la cronaca di una grande amicizia: tutto questo in «Burton racconta Burton», nuova edizione di un libro uscito lo scorso anno, ora nell'Universale Economica Feltrinelli, 368 pagine, 12 euro. Il libro è una lunga conversazione del regista Tim Burton, raccolta dal famoso giornalista Mark Salisbury. Qua e la fa capolino (e che capolino!) l'alter ego di Burton: l'attore Johnny Depp, che firma la prefazione ed è costantemente presente come protagonista ideale del visionario regista di film come «Edward mani di Forbice» e «Big Fish». Nato a Burbank nel 1958 Burton si racconta fino al suo penultimo film, «Sweeney Todd», del 2007, un film-simbolo, il suo preferito. Per il regista proprio il barbiere di Fleet Street, interpretato naturalmente da Johnny Depp, è il personaggio più amato: «Lo sento molto vicino, al punto da potermi identificare in lui. È molto introverso, vive molto dentro di se, in un mondo a parte, nel bene o nel male, in questo caso soprattutto nel male. Quando hai tutte quelle emozioni che ti crescono dentro, inevitabilmente finisci per passare per matto». E la follia è una costante del «ribelle» Burton: una follia che porta a immagini sempre fuori dall'ordinario. Il debutto nel cinema di Burton nel 1988 con «Beetlejuice» che, nonostante soli 13 milioni di dollari di budget, conquista il pubblico. Rivoluzionerà poi completamente un personaggio ben conosciuto dal pubblico: «Batman» ('89), diventato il primo film a superare la soglia dei 100 milioni di dollari di incasso nei primi dieci giorni di programmazione. Un film che «smonta» il celebre personaggio dei fumetti. «Un sacco di gente ha pensato che il Joker fosse il ruolo centrale - spiega Burton - ma molti hanno anche pensato che Michael Keaton, l'interprete di Batman, fosse, proprio per questo, più emozionante. Perché è riuscito a far emergere la tristezza del personaggio». «Edward mani di forbice» ('90) è stato invece per Burton la reazione a certe «etichette» che appartengono tanto alla società in generale, che ti impone di uniformarti, quanto al mondo del cinema: «È facile finire in una categoria anche a Hollywood - spiega - È una cosa triste e insieme frustrante, perché c'è qualcuno che ti sta dicendo cosa sei, e questa cosa non sei tu». Dopo «Batman - Il ritorno» (1992), il bellissimo «Ed Wood» (1994), «Mars Attacks!» (1996), arriva il disastrato remake de «Il pianeta delle scimmie» che, però, gli dà modo di conoscere la sua compagna di vita, Helena Bonham Carter, da cui ha avuto due figli. Nonostante l'attrice abbia recitato in molti film di Burton per lui non è mai stata una interprete scontata, come nel caso di «Sweeney Todd», dove a sceglierla, fra tanti provini, non fu il regista, ma il compositore del musical Stephen Sondheim. Per Burton il bello di film visivamente così estremi «è il fatto che riescano a rappresentare le tue sensazioni. È come se mostrassero le tue interiora... ti vengono mostrate con un'immagine e questo è fantastico». E poi nel libro c'è l'attore ideale di Burton: Johnny Depp, sette film insieme: «Tim è un fratello, un amico, è il padre del mio figlioccio. È una persona unica e coraggiosa - scrive Depp nella prefazione - uno per il quale andrei in capo al mondo e so perfettamente che lui farebbe lo stesso per me». Entusiasmo pienamente ricambiato da Burton: «Johnny - dice - è una persona divertente, splendida e aperta. È una persona normale, almeno nella mia accezione di normale». D'altronde Depp ha saputo entrare appieno nell'anima cinematografica di Burton, bambino introverso che aveva trovato una via di fuga nel cinema: «Mi sono sempre piaciuti i mostri e i film di mostri. Non mi hanno mai fatto paura - spiega Burton - Io sentivo che spesso i mostri venivano visti dalla gente in maniera sbagliata e che in molti casi erano più sinceri di tutti gli umani che li circondavano». Tra i suoi idoli c'era già Vincent Price, attore-mito dei film horror anni '70, che accettò di essere voce fuori campo nel primo corto d'animazione di Burton, «Vincent» (1982), realizzato all'inizio della carriera, quando lavorava alla Disney. «La cosa stupefacente è che Price capiva la psicologia della storia - racconta il regista - E questo mi faceva sentire bene, come se qualcuno finalmente mi vedesse così com'ero e mi accettasse per quello che ero». E in fondo tutta la morale dell'artista Burton è in questo: «Accettiamo le persone per quello che sono».

Dai blog