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Sette paia di scarpe (forse settanta o addirittura settecento, molte delle quali con i tacchi a spillo) intese come il simbolo di un'intera vita spesa al servizio degli altri

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Scarpee tacchi consumati sui sampietrini del centro (e sugli sterrati della periferia) di Roma nell'arco di quarant'anni spesi ad esplorare, soccorrere e sollevare le miserie umane, i disagi e le sofferenze dei reietti. «Sette paia di scarpe - Storia di un'assistente sociale» (Ed. Maggioli) è un fantastico racconto di memorie di Paola Rossi, decana della categoria. Gli assistenti sociali di oggi devono alle sue battaglie l'istituzione dell'albo e dell'Ordine professionale, la nascita di un corso di laurea e uno di laurea specialistica in scienze del servizio sociale e tante altre conquiste. Ma sarebbe limitativo considerare questo libro un saggio sulla professione. È piuttosto un avvincente affresco storico sulla Roma dell'altro ieri, una testimonianza autentica di come eravamo e di quanto, in una manciata di decenni, siamo cambiati. Le lancette dell'orologio galoppano all'indietro. Siamo nel 1938 e Paola bimbetta di tre anni (è nata in Friuli nel '35) si trasferisce nell'Impero del Corno d'Africa, dove il papà, fascista convinto e impiegato al Ministero del Tesoro, era stato inviato per pagare gli stipendi ai militari e ai lavoratori italiani trasferiti in colonia. L'epoca d'oro finisce con l'occupazione degli inglesi che iniziarono la caccia ai maschi italiani tra i 16 e i 65 anni per chiuderli nei campi di concentramento in Kenya e impedire che tornassero in patria a combattere. Paoletta è costretta a lasciare l'Africa insieme alla mamma e a due fratelli mentre il papà e il fratello più grande venivano imprigionati. Inizia per lei un periodo difficile: la perdita della casa, lo status di profuga, il dover elemosinare un tetto e sostentamento ai parenti. «Per tutta la vita ho sentito la casa come la mia reale sicurezza. Dove mi sono trovata ho avuto bisogno di prendere possesso dello spazio» ricorda con dolore Paola Rossi. Gli anni dell'adolescenza e poi la decisione di diventare assistente sociale. Siamo nell'immediato dopoguerra. Nei diversi luoghi di lavoro dai paesini del Frusinate alle borgate romane Paola Rossi si misura con situazioni abissali di arretratezza sociale, culturale e economica. Brefotrofi, ospizi di mendicanti, bambini abbandonati, ragazze madri, marocchinate, balie affidatarie, le Celate cioè le ragazze che entravano in ospedale al terzo mese per partorire in completa segretezza. Insomma tutta la gamma della sofferenza, della miseria, della sopraffazione e ignoranza in una Capitale così diversa dalla città di oggi. Nel racconto della Rossi, poi, le tappe della sua battaglia contro un sistema politico sordo e insensibile. Infine le sue vittorie e un ultimo prezioso insegnamento: bisogna imparare a guardare l'erba dalla parte delle radici.

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