Veronesi: «Il mito di Bob non finirà ma per lui ora sono meglio ruoli agée»
Galeottofu «Manuale d'amore 3», il terzo capitolo cinematografico del regista toscano, che aveva visto il divo hollywoodiano protagonista del terzo episodio al fianco di Monica Bellucci. Non è un caso, quindi, se proprio Veronesi ha fatto da guida a Robert De Niro per la sua giornata romana di ieri. Nessun bagno di folla per la star americana, ma un programma serrato di incontri e visite all'insegna della privacy, in cui è stato accompagnato da Veronesi, con il quale «Mister Taxi Driver» - parola del regista toscano - ha stretto una forte amicizia. Veronesi, le piacerebbe dirigere De Niro in un remake con qualche vecchio personaggio immortalato nel passato proprio dal divo? «Assolutamente no. Anche gli eroi tramontano, sebbene nei nostri ricordi rimangano eroi fino alla morte. Ma in realtà invecchiano, come i calciatori che non rifanno i mondiali ma resteranno per sempre degli olimpionici. Oggi a De Niro farei recitare ruoli adatti alla sua età, che so, un padrino, o, come l'ho diretto io in "Manuale d'amore 3", un vecchio professore che s'innamora di Monica Bellucci, in un bella parte da commedia. Le generazioni cambiano e ognuno ha le sue venerazioni. Io adoravo Platini oggi i giovani amano Messi e io oggi faccio il tifo per tutti e due». Come è riuscito a conquistare la simpatia e l'amicizia di De Niro? «Non lo so, è nato tutto in modo molto naturale. Lui mi chiama spesso sul cellulare e io quando vedo la sua chiamata tremo per l'emozione, gli parlo nel mio inglese cafone e si chiacchiera come due vecchi amici. Ieri sera siamo stati a cena insieme e lui era felice di essere di nuovo a Roma con me, almeno così sembrava. Bob adora lavorare in Europa e specialmente in Italia, per ovvii motivi: qui ha le sue radici e poi ama il cibo italiano, la mozzarella soprattutto». Sta già pensando a un nuovo film e a un nuovo ruolo per Bob? «Magari e perché no? Ma per adesso mi riposo e vado a cavallo. Sto pensando a qualcosa di nuovo, però è ancora tutto da scrivere. Certo è che mi occuperei ancora una volta di problemi d'amore in una commedia divertente e ricca di equivoci. D'altronde è il genere che mi riesce meglio». Intanto, domani andrà a Narni per la 17esima edizione de «Le vie del cinema», cosa presenterà in particolare? «Dopo tanti anni, "La grande guerra» di Mario Monicelli verrà riproiettata nelle sale, solo durante il festival, per gentile concessione di Aurelio De Laurentiis. È un film che o sempre amato: avrei voluto farlo io. ha tutte le caratteristiche della grande commedia: lo sfondo apocalittico, i personaggi regionalistici che rappresentano l'Italia dei Comuni, un po' vigliacchi e un po' eroici. Ancora oggi siamo famosi in tutto il mondo per questo: una volta un russo mi confessò che non avrebbe mai voluto vicino in guerra un italiano. Perché sarebbe stato o troppo coraggioso o troppo cinico e si sarebbe fatto scudo del suo corpo per salvarsi. L'Italia, da quel film di Monicelli, non è cambiata molto: stessi vizi e poche virtù. Gli italiani sono sempre i soliti strafalcioni, arraffoni, sposano una causa con grandi atti eroici, ma poi sono inaffidabili e si perdono dietro alle gonnelle, come dei latin lover d'altri tempi. Forse il bello dell'Italia è proprio questo, chissà...». Il primo cinema italiano intitolato a Mario Monicelli sarà a Narni? «Sì e il cambio di nome verrà ufficialmente presentato durante la kermesse. La rassegna del cinema restaurato è in programma a Narni fino al 10 luglio e quest'anno sarà dedicata al grande regista. Trovo divertente la formula del "cinema di papà", appuntamenti in cui alcuni registi "adottano" i loro padri artistici parlando di film del passato che li hanno ispirati». Din. Dis.