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di SARINA BIRAGHI «Mamuska, mamuska».

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Unamadre padrona, ricca vedova ebrea di Cernigov in Ucraina, che mentre la figlia sessantasette anni prima caricava i bagagli in carrozza per andare incontro alla sua vita, le puntava un dito contro urlandole: «Non sei tu che te ne vai ma io che ti caccio e ti maledico per tutta la vita. E quando morirai mi chiederai scusa». La novantenne che muore in un appartamento di Montesacro, a Roma, dimenticata da tutti, è Angelica Balabanoff che deve proprio alla severità di sua madre, forse, il suo spirito ribelle di rivoluzionaria anche se quella maledizione russa «le rimane attaccata fino a trasformare la sua vita in tragica delusione». Eppure Angelica voleve essere una donna libera con la passione della politica. Infatti poliglotta, colta e cocciuta, preferì abbandonare la casa paterna e l'ambiente della buona borghesia ebraica russa per dedicarsi alla causa socialista o, meglio, alla difesa del proletariato. Femminista della prima ora, amica di Rosa Luxemburg, la Balabanoff attraversò l'Europa e gli Stati Uniti difendendo con tenacia la propria indipendenza, rimanendo fedele al suo ruolo di missionaria atea del movimento operaio. In un libro di Giacomo Leopardi, suo poeta preferito, l'anziana combattente che scelse la Capitale come ultima tappa, lasciò una poesia che è la sintesi della sua vita: “…non mi sono mai rassegnata, né piegata, né il mio cuore, né la mia mente sono stati indifferenti all'altrui dolore. Perciò mai sono stata tranquilla. Ma oggi tranquilla. Muoio”. Con “Mai sono stata tranquilla” (Einaudi, pag. 307), Amedeo La Mattina, giornalista de La Stampa, ricostruisce la grande avventura esistenziale e politica di una donna libera e anticonformista, a lungo sottovalutata e dimenticata dalla storia, tracciando un percorso politico che non si separa mai dalla sfera umana. La Mattina comincia e finisce la sua opera con l'immagine di quella dolorosa e solitaria agonia di una donna che fu famosa ma che gran parte della cultura progressista condannò alla “damnatio memoriae” e spiega: “Questo libro è il merito che spetta a una donna che ruppe con Mussolini e con Lenin. Una santa del socialismo che diventò anticomunista e implacabile fustigatrice delle debolezze umane e politiche della sinistra italiana”. La Balabanoff attraversò nella sua vita due guerre mondiali e una rivoluzione, quella bolscevica, accanto a Lenin e Trockij, di cui però comprese la natura tirannica e per capire la sua anima socialista basta citare la frase con la quale Lenin nel 1921 l'apostrofò nel momento in cui apprese che stava lasciando Mosca: ''Sei un'indomita moralista''. Poi conobbe Benito Mussolini, vera e propria spin doctor del futuro duce del fascismo, la Balabanoff lo portò al vertice del Partito socialista italiano e alla direzione dell'Avanti, facendogli da spalla, per poi pentirsene amaramente una volta capito chi aveva davanti e soprattutto la politica che stava perseguendo. Questa volta fu lei a gridargli in faccia la parola "traditore" (titolo di un suo libro) mettendo fine così ad un lungo sodalizio. Un rapporto nel quale si era mischiato pubblico e privato e che a lungo fece sparlare le malelingue del socialismo italiano. Per non dire della gelosia di Rachele, moglie di Mussolini e di quella Margherita Sarfatti, amante del futuro duce. Si parlò di relazione erotica tra l'allievo autodidatta e la maestra ucraina di marxismo, anche perché lei, secondo le mode più estremiste dell'epoca, teorizzava e praticava l'amore libero. Angelica conobbe quindi l'esilio a causa del fascismo poiché la sua opposizione fu netta, così come quella allo stalinismo: posizione difficile negli anni dello scontro frontale, sfociato poi nella guerra mondiale. E che la emarginò sempre di più, specie quando la sua avventura politica la spinse nelle fila della socialdemocrazia. Comunisti e socialisti furono implacabili: il torto dell'ex rivoluzionaria era ora quello di essersi "innamorata", politicamente e intellettualmente, di Giuseppe Saragat. Insieme a lui capeggia la scissione socialista nel gennaio del 1947. Sgarbo imperdonabile per Stalin che l'accusò di tradimento anche per quel suo accento americano, segno di collusione con le forze del capitalismo. Nel 1960, anni dopo e dopo il buio della solitudine politica e umana, Angelica Balabanoff rivendicò con orgoglio di non voler essere riabilitata, ma di "essere stata la prima a scegliere la libertà" non soltanto per se stessa, bensì anche "il grande incommensurabile privilegio" di essere rimasta fedele al socialismo. "Mai sono stata tranquilla. Ma oggi sono tranquilla", è il suo epitaffio al cimitero acattolico della Piramide, a Roma, sulla sua tomba nel settore russo, quattro file dietro quella di Antonio Gramsci.

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