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«La tempesta» di Shakespeare nelle corde di Albertazzi

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Nonc'è ruolo più adatto per un mattatore come Albertazzi che non recita, né si cala nei personaggi, preferendo dialogarci in un incantesimo empatico che diventa ricerca poetica sul teatro piuttosto che voluttà rappresentativa. Demiurgo, deus ex machina, regista di se stesso e degli altri nel suo essere comunque un grande attore, artefice di inganni, narratore, cantastorie, sempre avido di scena, è il Prospero ideale, mai dimentico della presenza di Giorgio. La sua modalità di confrontarsi con i testi, classici e non, dirige, influenza, domina e fagocita l'intero allestimento che scopertamente si colloca nella sua originaria, immediata e naturalissima dimensione metateatrale. L'isola del naufragio evoca, allora, il Globe Theatre di Londra in un gioco di rimbalzi, cornici e specchi che approdano ovviamente nella sua copia conforme romana. «Questo lavoro nasce in un momento molto difficile, in cui tutto si confonde e degrada in una spaventosa superficialità, in un deserto umano assoluto - ha dichiarato il regista Daniele Salvo, allievo di Luca Ronconi - La nave affonda. Shakespeare inizia con quest'immagine la sua "Tempesta": una società che cola a picco, un luogo in cui un Re e la sua corte, dalle loro lussuose stanze interne alla nave, tentano invano di dettar legge agli elementi naturali, disposti a tutto pur di salvarsi la vita, offendendo i marinai esposti alla catastrofe naturale, ostentando la loro presunta onnipotenza di piccoli uomini politici in balìa delle onde. Ma la tempesta, almeno in questo caso, è un'illusione, un artificio, una malìa teatrale organizzata da Prospero, il protagonista della pièce, che, come un direttore d'orchestra o un moderno regista, crea la realtà e la manipola a suo piacimento, intervenendo sugli elementi naturali. Siamo al Globe, nel teatro di William Shakespeare, un piccolo universo, metafora del "globo terrestre e di tutto ciò che contiene". Nel nostro spettacolo il teatro di Prospero, luogo di tutta l'azione scenica, è un teatro abbandonato, in "disarmo", un luogo dimenticato da tutti, sepolto nel tempo, ricoperto di polvere e calcinacci, un luogo di illusioni private, ossessioni, attese di epifanie meravigliose, luogo della mente e della passione, luogo ormai tristemente "demodé" e senza una funzione sociale precisa. L'isola del mago Prospero coincide con il palcoscenico: pochi metri quadrati, estremo rifugio da un mondo in cui non ci si riconosce più. Il teatro diviene così il luogo di una seconda chance, il "campo di battaglia" immaginario in cui Prospero/Shakespeare si prende una rivincita sulla vita reale». E Albertazzi racchiude questa metaforica consapevolezza nel suo sapiente distacco pronto a ribaltarsi in slancio infantile, nell'alchemica ambiguità della sua immagine conclamata e mai ostentata, nella paterna bonomia con cui attrae e galvanizza i compagni di avventura scenica: da Roberta Caronia che è sua figlia Miranda a Carlo Valli in veste di suo fratello Antonio, fino a Melania Giglio come Ariel e a Gianluigi Fogacci per Calibano. T.D.M.

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