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«San Pietro quann'è tutt'impimpinato/ ch'antra figura fa! che pacioccone!...».

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Giàperché il mantellone di lana rossa che calano addosso all'Apostolo come una corazza quando a Roma impazza il solleone è un martirio peggio della crocifissione a testa in giù. Questa sera, come dall'anno domini 258, si ripete il rito dei Pallii, antifona della festa di San Pietro e Paolo. Il papa poggia sulle spalle di patriarchi, vescovi, metropolititi - perché la caput mundi è il crogiolo di tutti i cristiani - i pesanti mantelli. E rosso, prezioso e sacro è quello - la lana viene anche dai due agnellini benedetti il 21 gennaio di ogni anno, nella chiesa di Sant'Agnese - che mettono addosso alla statua bronzea di San Pietro, nella Basilica del Vaticano. É l'eterna consacrazione del Pastore, nel luogo nel quale sta la sua tomba, identificata da Margherita Guarducci, dopo il tira e molla decennale con gli archeologi. C'è una ritualità stratificata come mai, in questa festa di Pietro e Paolo. Roma ecumenica abbraccia sacro e profano. Devote e sfrenate sono abbuffate e cerimonie, processioni e giochi. Pietro e Paolo sono i Dioscuri, Romolo e Remo e insieme gli apostoli su cui poggia la Chiesa. Simone è la Pietra sulla quale Cristo la edifica. Paolo il civis romanus che si fa cristiano, evangelizzatore e santo. Arrivano a Roma uno dalla Giudea, l'altro da Damasco, da quella Siria attraversata da Gesù e oggi martoriata (le alture del Golan occupate da Israele, le stragi di Bashir al Assad). Gli sbirri di Nerone, dopo l'incendio che offre il destro all'imperatore di trovare il capro espiatorio nei cristiani, li mettono in ceppi. E qui storia e leggenda si confondono, forniscono versioni contradditorie. Ma è bello ritrovare i loro luoghi nella città der Cuppolone. Abitavano Pietro all'Esquilino, nella casa del senatore Pudente, che convertì e ove ora resta la basilica di Santa Pudenziana, la pia figlia; Paolo all'Aventino, dov'è la basilica di Santa Prisca. Li portano in ceppi al Carcere Mamertino, che si affaccia sui Fori. E qui convertono e battezzano. Si incontrano per l'ultima volta sulla via Ostiense, all'altezza dei numeri civici 106 e 108. Una cappella, detta della Separazione, segnava fino agli inizi del Novecento il posto. Le comari con sulle spalle il fagotto della pasta al forno e della cicoria ripassata arrivavano la mattina del 28 per la preghiera e la scampagnata. Dopo il saluto dei due amici nella fede, l'avvio al martirio. Pietro tentò la via della fuga incamminandosi sulla via Appia, la strada che conduceva a Brindisi e al suo Oriente. Ma la visione di Cristo, la domanda drammatica «Quo vadis, Domine?», la risposta di Gesù, «Vado ancora al martirio» lo convinsero a tornare a Roma e ad affrontare il destino. È l'anno 64, probabilmente ottobre. Lo crocifiggono a testa in giù, nel circo neroniano - qui poi Costantino eresse nel IV secolo la Basilica nel suo nome - come illustra Caravaggio in Santa Maria del Popolo. A Paolo riservano la decapitazione, onore per chi è cittadino romano. Accade «ad acquas salvias», sulla via Laurentina. La testa rotola tre volte sulle zolle e a ogni giro zampilla una fontana. Sono passati 67 anni dal Calvario. Ma Pietro e Paolo, i «gemelli» di Roma, vengono accomunati nella morte e si sceglie il giorno in cui gli antichi pagani onoravano il dio romano per eccellenza, Quirino. Alle Tre Fontane, anche per mangiarsi dai frati Trappisti la rosetta di pane riempita di cioccolata, venivano i pischelli a giocare, nella gita fori porta del 29 e 30 giugno. Le madri li avevano portati la sera prima prima a sentire i «Vesperoni» del Santo Padre. Loro passavano la giornata a scimmiottare per gioco i Patroni. «San Pietro e San Paolo, opritece le porte!» strillavano quelli di una squadra. E quelli della fazione opposta: «Le porte stanno aperte pe' cchi ce vole entrà». Erano quelle dell'Inferno e del Paradiso. La sera, tornati tutti dalle fraschette, dove ordinavano solo il vino e pagavano l'oste per lo «scommido» d'avergli occupato i tavoli, spedizione a Castel Sant'Angelo per la girandola, i fuochi d'artificio. Tutti i santi finiscono in gloria. E col botto.

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