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Diderot, estremista liberale

Diderot

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Entriamo di soppiatto in una divina aula in cui si celebra il Rito della Maturità e domandiamo all'ignaro studente: "Scusa, sai chi è Diderot?". Tralascio la risposta, perché, dopo aver letto il libro della Mastrocola, potrei avere delle turbe interiori, e dico con quasi assoluta certezza una cosa: Diderot è comunque ben altro rispetto alla risposta del malcapitato studente (o sudentessa, sia chiaro, che il politically correct sia con me). Diderot è sì l'inventore di quella poderosa macchina ideologico-metafisica che risponde al nome di "Encyclopédie", ma è anche un costruttore di macchine retoriche sostanziate di malizie retoriche alla Torquato Accetto, altro folletto della pantomima semantica, il più sparigliante dopo Quintiliano. Accetto è l'uomo della "dissimulazione onesta", il Barocco scenico, alla Benjamin, la centralità del Sovrano, assimilante ogni frammento della realtà umana. Ecco, Diderot è il mentore della retorica efficace, tanto brillante quanto anti-filosofica, incapace di abbracciare la Teoria come Tutto, alla Hegel, e rinvenitore di pratiche linguistiche tipicamente volte alla committenza. Committenza giusta, che conta. Se Nietzsche voleva vivere e scrivere per farsi epigono di se stesso, Diderot, con metodo analogo, vuole sprecare tutto, e anche nella «Lettera sulla libertà della stampa» spreca l'occasione di sostenere una tesi - dico: una! - senza dover poi rovesciare la partita con una dialettica che, non a caso, Hegel vide antesignana della sua. La ristampa di questo libello aiuta a capire quanto poco profonda sia la cultura, da dissipare e sprecare con liberalità dissennata, e quanto sacro e sacralizzato sia il Potere. Richiamiamo sempre Pasolini su questo nodo, insieme al gigantesco "Zio Ez", e così siamo sicuri di non sbagliare. Diderot aveva scritto sermoni a pagamento, senza un briciolo di fede, e si era impadronito della macchina burocratico-progettuale dell'Encyclopedie, per poi venire gabbato da congiure di Stato e malversazioni. In questo testo, ripubblicato dai libertari di Liberilibri, afferma la poderosa libertà dell'Autore, così: "In effetti, quale bene potrebbe appartenere a un uomo, se non gli appartiene un'opera del suo ingegno, frutto unico della sua educazione, dei suoi studi, delle sue veglie, del suo tempo, delle sue ricerche, delle sue osservazioni, se non gli appartengono le ore più belle, i più bei momenti della sua vita, i suoi pensieri, i sentimenti del suo cuore, la parte di lui più preziosa, quella che non perisce, quella che lo rende immortale?". Il "Diritto d'Autore", in sostanza, la libertà intellettuale granitica allo stato puro, ma, per carità, niente analogie banalotte con la battaglia postmoderna libertaria, liberale, radicale. Uno dei nuclei centrali della riflessione illuministico-enciclopedica, legata all'antropologia specifica afferente all'idea di società e di uomo, è proprio la tecnologia come portato universale dell'intelligenza. La tèchne come emersione sistematica e, insieme, emergenza del pensiero, un ponte tra l'idea di Uomo come Fondamento assoluto della realtà e di se stesso e la Storia, teatro del bene e del male, di cui l'uomo è protagonista incontrastato. Questa secolarizzazione radicale del pensiero, ben prima della declinazione dimidiata di un Max Weber, è la cifra del tutto, ed è lo specifico di ogni dubbio di Diderot. Anzi, di più: di ogni contraddizione. Che diventa, per certi versi, la maturazione spontanea e inconscia del pensiero. Una sorta di "così è, se vi pare" posto sotto l'ombra della ricerca di libertà e organizzazione storica della libertà e dell'azione umana nella storia. Senza questa duplicità - libertà/organizzazione - non si capisce niente di Diderot e dell'illuminismo enciclopedico, che è altra cosa dalla filosofia matura di Kant, che domanda all'io un passo di autonomia soggettiva, prima di porsi sotto l'ombrello della determinata organizzazione della società. La «Lettera sulla libertà di stampa», invece, polarizza la vicenda della libertà comprimendola, da un lato, e, dall'altro, estendendola, ma sempre con il tratto della dissimulazione onesta, dunque pensata e voluta. Diderot è spontaneo senza essere spontaneista e sistematico, senza amare i sistemi, anzi procedendo per committenze, salvo accelerare la furia organizzativa con il modello ideocratico enciclopedico. La percezione della proprietà intellettuale da parte dell'Autore, dunque dell'opera d'ingegno come tale, alla stregua della proprietà di un campo, di una casa - come richiamato dal curatore del testo Pino Di Branco - indica cosa? L'intenzione di reperire una cifra unitaria di organizzazione sociale, in grado di reggere insieme la libertà d'azione, direbbe Ayn Rand, e la forma proprietaria che Marx avrebbe definito "borghese". Questo è il perimetro e il percorso di un Diderot, ad un tempo analista della società e ideologo non parassitario di altri segmenti ideali antichi. Perché, alla fine - insiste ragionevolmente Di Branco, e condivido - il tecnocrate-progettista dell'Enciclopedia illuministica è affascinato dalla nuova organizzazione tecnologica e ne intuisce la dinamica in certo qual modo eversiva, ed è, per questo, affascinante, per esercizi di stile e dissonanze dialettiche sul tema, come quella che lo pone di fronte al dilemma: "Se dunque i librai chiedono alla compiacenza del re di permettere loro di passare i ponti e derogare ai decreti e regolamenti contrari, bisogna accordarglielo". Come dire: il mercato è la forma più raffinata di organizzazione della società e della stessa libertà, ergo, se vogliamo tematizzare la libertà di stampa e la libertà dell'ingegno, ad essa dobbiamo riferirci. Qui la filosofia illuministica deve perdere i suoi connotati continentali e contaminarsi, meticciarsi con la non omogenea e paritetica avventura intellettuale scozzese, da Ferguson allo stesso Hume (quest'ultimo, anche fine politologo), perché la "civil society", quella sì, riesce a contenere il perimetro e il diametro delle angolazioni e tergiversazioni continentali di Diderot, ma, in questo caso, di tutti i suoi compagni di strada. Quando Marx deve affrontare l'illuminismo, nella storia delle idee economiche, è non a caso imbarazzato, perché il primato ideale deve stare dalla parte anglosassone e deve parlare inglese, ma la battaglia anti-dispotica, persa a dire il vero, dei francesi enciclopedisti non può essere trascurata. Di che si tratta, infine? Di una modernità intrisa di contraddizioni che va presa per quello che è, come ogni sfoggio di libera singolarità intellettuale e umana. Il problema di Diderot circa la libertà di stampa corrisponde, mutatis mutandis, alla gigantesca questione dell'organizzazione della società dei Fisiocratici, riguardante la libertà dei piccoli imprenditori agrari e le tecnologie non sotto la tutela a caro prezzo del sovrano. Tutto si tiene, da un'altra angolazione. Ma questa è davvero un'altra storia.

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