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Quando Ischia conquistò la Germania

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diMARIO BERNARDI GUARDI «Che vasti spazi apre alla riflessione una nave sospesa fra il cielo e il mare! Qui tutto dà slancio, movimento e vasto orizzonte al pensiero! Lo sbattere delle vele, la nave che oscilla di continuo, il frusciante scorrere dell'onde, la nuvola che vola, l'orizzonte profondo e infinito! Sulla terra si è vincolati a un punto morto, racchiusi nella cerchia ristretta di una situazione… O animo mio, come ti sentirai quando uscirai da questo mondo?». Un bell'esempio di prosa "romantica", no? In effetti c'è il sentimento profondo di una natura che sollecita gli stati d'animo e vi partecipa; c'è l'esaltazione dello spirito di fronte a spazi incontaminati; c'è il sentimento alto e forte di una individualità ormai sfuggita ai vincoli della volgarità quotidiana; c'è la tensione verso l'assoluto; c'è una specie di gioia panica in cui è bello immergersi, tonificati dall'esperienza nuova di una libertà senza confini. Ad esaltarsi e ad esultare in questo modo, "due secoli e mezzo dopo Colombo e un secolo prima che Nietzsche lanciasse la parola d'ordine 'Via, sulla nave, filosofi!'", è il giovane pastore Johann Gottfried Herder che il 17 maggio 1769 si congeda dalla sua comunità, taglia i ponti con tutto e da Riga veleggia alla volta della Francia. Durante l'ardimentoso viaggio, come mette ben in risalto Rüdiger Safranski guidandoci in questa appassionata rievocazione/ricognizione culturale ("Il Romanticismo", Longanesi, pp. 396, euro 30), Herder è colto da una vertigine di pensieri e di immagini "che non faranno spiccare il volo soltanto a lui, ma metteranno le ali ad una intera generazione". Insomma, la traversata del pastore-marinaio è il battesimo del Romanticismo che, chiaramente, "nasce tedesco" (e il limite, se così si può dire, del saggio di Safranski, è quello di concentrarsi sulla cultura germanica, ignorando, o quasi, il resto dell'Europa). "Herder - leggiamo - si nutrì per tutta la vita delle idee che gli passarono per la mente durante quel viaggio sul mare mosso", di esse facendo abbondante seminagione. Alla quale seguì una fioritura straordinaria di creatività: già nel 1771, Johann Wolfgang Goethe, che aveva conosciuto a Strasburgo il pastore-marinaio, non solo si rese conto che l'esperienza vissuta e interiorizzata da Herder "portava con sé una brezza fresca, di quelle che stimolano la fantasia", ma si nutrì delle sue suggestioni. Come ben testimonia l'"Urfaust" , la prima versione della sua opera (Goethe, tra revisioni, rielaborazioni e perfezionamenti ecc. lavorò al suo "Faust" dal 1772 al 1832), scritta sotto l'impressione dell'incontro con Herder: "Ohimè! Sono ancora in carcere? (…) Assediato da questo mucchio di libri? (…) Fuggi! Esci nel vasto mondo!". Fuga polemica, all'insegna della trasgressione. E, come sempre avviene nei nuovi movimenti culturali, i loro "alfieri" hanno voglia di scandalizzare. Così fecero Goethe e i suoi amici a Weimar, trasformando la quieta cittadina tedesca in un quartier generale della coppia "genio&sregolatezza". Soprattutto esibizione "scioccante": c'era chi usava come boccali per la birra delle urne cinerarie prelevate da un vecchio cimitero dei dintorni; chi mangiava con le mani pezzi di carne cruda di cavallo; chi, invitato dal duca di Weimar, "si presentava col petto nudo fino all'ombelico, i capelli sciolti e svolazzanti e un grosso e nodoso bastone in mano". Viene fatto quasi di pensare a certi comportamenti ostentatamente provocatori frequenti nelle avanguardie del Novecento o nella Fiume dannunziana. Ma del resto, anche se, come ricorda Safranski, "il Romanticismo in senso stretto termina con Eichendorff e Hoffmann" - il che significa nel secondo o nel terzo decennio dell'Ottocento - le sue suggestioni si prolungano e investono tutti gli altri -ismi a seguire: ad esempio, per restare nel mondo della cultura, il naturalismo e il decadentismo, la musica di Wagner e la filosofa di Nietzsche, e, per buttarla in politica, il socialismo nella sua anima più utopistica e rivoluzionaria (ma anche in quella marxista: si veda quel che scrive Safranski su un Marx che in qualche modo vuole "realizzare la poesia" di un'umanità nuova) e naturalemente il nazismo con tutto il suo apparato identitario ed epico, mitico e paganeggiante. Ma allora nel Romanticismo c'è tutto e il suo contrario? Bè, di sicuro, in esso vibrano, come mai avvenuto prima, emozioni, sentimenti, passioni; con la Natura stabiliamo un rapporto "patetico": la contempliamo, la viviamo, cerchiamo di coglierne il linguaggio segreto; il sogno è un bisogno costante, come l'apertura verso l'infinito e l'indefinito, il magico e il simbolico; l'Io, ebbro e tempestoso, si ribella a tutti i conformismi sociali; Dio è la mèta - irraggiungibile? - di uno spirito inquieto che riempie il silenzio dei suoi interrogativi e oscilla tra intuizione e riflessione, non risparmiandosi l'azzardo della follia. Tutto questo è "romantico": e lo sono un mare in tempesta, un'alba che si dischiude rosea, un bosco intricato. Lo sono la nostra giovinezza, gli anni di liceo, i "nomina-numina" che grazie a Safranski ritroviamo: Novalis e lo "Sturm und Drang", Goethe e Hölderlin, Kant ed Hegel, Schelling, Schiller, Schopenhauer… Peccato: ci mancano le nostre tre "corone" : Foscolo, Leopardi, Manzoni.

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