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Il muro di Waters batte la psicanalisi

Waters

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«Soli, o a coppie/Quelli che davvero ti amano/camminano su e giù fuori dal muro/Qualcuno mano nella mano/qualcuno si riunisce in band I cuori sanguinanti e gli artisti/fanno la loro comparsa/E quando hanno dato tutto ciò che potevano/alcuni barcollano e cadono/Dopo tutto non è facile/sbattere il tuo cuore contro un muro di pazzi». Solitudine, alienazione, muri, follia: nel finale di «The Wall» sono presenti tutti i temi del concept album doppio, il più importante nella storia del rock. Roger Waters lo canta con un filo di voce in «Outside the wall», quando il processo a carico di Pink è appena finito ed è stata pronunciata la sentenza per l'abbattimento del muro. Quel «Tear down the wall» che risuona nelle orecchie liberatorio e sinistro a un tempo. Ma cosa ha provocato il muro che soffoca la vita di Waters/Pink? La morte del padre in guerra, una madre iperprotettiva, un sistema scolastico autoritario e i tradimenti della moglie. Sono questi i mattoni che isolano l'uomo e il personaggio e lo condannano a una progressiva e forse irreversibile alienazione. «The Wall» venne pubblicato dai Pink Floyd nel '79 e, in occasione del trentennale, Waters ha cominciato a suonarlo ancora una volta in giro per il mondo. Con un nuovo allestimento scenografico e con contenuti più politici che in passato. Erano vent'anni che lo show non veniva messo in scena. Ora il musicista britannico sta per tornare in Italia con due concerti in programma al Mediolanum Forum di Assago il 3 e 4 luglio. «Questi concerti potrebbero essere gli ultimi della mia carriera», ha detto Waters di recente. Un motivo in più per seguire con attenzione un'opera che resiste come poche altre all'usura del tempo. Forse perché continua a parlare di noi. A descrivere le nostre ansie e debolezze. In una parola la nostra solitudine di uomini moderni. E lo fa senza reticenza alcuna, scavando nella nostra intimità più imbarazzante e nei ricordi ancestrali. Partecipiamo così a una sorta di seduta psicanalitica collettiva, dalla quale usciamo per forza diversi da come eravamo entrati. «Il mondo è ancora pieno di muri - spiega Waters - Oggi chi ha alle spalle una storia come la mia non scrive "The Wall", va a raccontarla nei reality show in cerca di quindici minuti di celebrità. Si diventa famosi senza saper far nulla, non c'è più bisogno di saper recitare, cantare o che so io. Al contrario, è la totale mancanza d'immaginazione a creare il personaggio. Nonostante i social network, la gente non riesce ancora a comunicare e a scambiarsi le idee». Comodamente intontiti. Nell'eterno ritorno dell'incomunicabilità. Vedendo le nostre stesse mani che infilano un altro mattone nel muro.

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