Alla ricerca dell'utopia perduta
diOLIMPIA TROILI Vite. Vite che non possiamo permetterci. Cos'è stata in fondo la storia dell'uomo se non una serie di speranze tradite, di scommesse perdute, di contrazione di debiti troppo alti rispetto a ciò che ci si poteva permettere? Cosa se non un'antitesi tra Apollo e Dioniso, tra desiderio di essere e capacità di essere? Aspettative delle quali, in fin dei conti, non si è riusciti ad essere all'altezza. Così Zygmunt Bauman nel suo ultimo libro, una lunga serie di conversazioni con Clitali Rovirosa-Mandraso, ci parla di molte scommesse in cui l'uomo è ancora in ballo tra i paradigmi della post-modernità. Capitalismo, democrazia, welfare state, stato, nazione, diritti umani, biotecnologia, genetocrazia. Le speranze residue di una generazione perduta tra utopia e amore. Come tutte le altre in fondo, solo che oggi viviamo in un mondo globalizzato e sempre più interdipendente dove non si sa più quali siano i veri centri di potere. Comunque si voglia leggere questo libro si colgono immediatamente i riferimenti a quei soggetti liquidi tipicamente baumaniani che vengono sviscerati dall'autore da una prospettiva sempre più ampia rispetto a quella dalla quale vengono posti gli interrogativi. A domande complesse non esistono risposte univoche ma l'intellettuale polacco ci restituisce sempre più di quanto gli sia stato chiesto aprendo nuovi spazi. Non riducendo la complessità ma aumentandola. La sua opera ci proietta agli ultimi termini dell'oggi. Le sue risposte risultano inquietanti e non certo funzionali o risolutive. Parallelamente alla realtà scorre il racconto che ci facciamo di essa. Ridisegnare le frontiere della nuova epistemologia è oggi un compito quanto mai complesso al quale qualsiasi intellettuale responsabile non può non sentirsi chiamato a contribuire. Scoprire che l'odierna «crisi del credito» non è il risultato del fallimento delle banche ma al contrario del loro straordinario successo, che il capitalismo non è certo morto ma ha solo esaurito il suo più recente pascolo, che non è vero che non ci sono abbastanza risorse per tutti ma che ci sono troppi ricchi o che siamo passati da una società di produttori ad una società di consumatori per diventare progressivamente una «razza di debitori», è merito della capacità di certi autori di avere ancora una visione di insieme del sistema. Definizione impersonale di un qualcosa di esistente ma non facilmente identificabile eppure nel quale siamo tutti completamente immersi. Le tragedie che si consumano nel nostro tempo, come i «rifiuti umani» o «la popolazione in esubero», sono figlie della globalizzazione delle disuguaglianze. A chi dice che oggi vige sempre più il relativismo di un pensiero debole vorrei contrapporre la tesi che questo libro non smentisce mai: c'è una volontà forte di qualcuno o di alcuni che hanno avuto interesse, o molti interessi, ad imporre la propria ideologia alle fondamenta del nostro modo di pensare condizionando i nostri comportamenti. La coercizione silenziosa di chi ha elevato il profitto a massimo valore conseguibile. Una logica che non contempla l'individuo a favore della massa, logica per cui il luogo di veridizione della modernità è il mercato finanziario. Quasi impercettibilmente è cambiato l'assetto del potere solo che non sappiamo dove sia finito, né chi lo eserciti e in che modo. Lo vediamo svaporare così, di fronte ai nostri occhi e perdersi nei mille rivoli della società liquida che viviamo. Non stupiamoci allora se la posta in gioco ha superato di gran lunga il valore della vita umana, non stupiamoci se siamo finiti a vivere vite che non possiamo permetterci.