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Chet Baker è vivo fa l'eremita nel Salento

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Quel bianco con la tromba suonava come un nero cambiando il mito iconoclasta delle tradizioni jazzistiche.Trasformando il modus pensandi dei colossi del jazz moderno, tutti rigorosamente «colored», costretti a fare i conti con il talento di questo giovane bianco piovuto giù dall'Oklaoma: Chesney Henry Baker Jr.detto «Chet». Genio assoluto, in grado di duettare con il meglio del jazz moderno, di suonare nelle «band» di tutti i big della sua epoca: da Charlie Parker a Gerry Mulligan prima di fondare un suo «quartet» col quale ha scritto pagine pazzesche di questo genere musicale in grado di «toccare l'anima». Ma è stata una vita difficile quella di Chet Baker uomo fuori dal tempo, avanti anni luce, in grado di far suonare il suo strumento come pochi altri al mondo. L'ossessione per «My funny Valentine» (la sua creatura in assoluto), il dualismo infinito con Miles Davis, il diverso per antonomasia, al quale però poi Chet finì per assomigliare maledettamente. «Era diventato quello che aveva sempre voluto diventare. Sembrava Miles Davis più di Miles Davis» sentenziò il sassofonista Archie Scheep dopo la mitica esecuzione ad Hannover nella quale nacque una pietra miliare del jazz contemporaneo: la «extended version» di My funny Valentine definita dagli addetti ai lavori (ma non solo) la migliore di sempre. E arrivata all'apice delle sue disavventure con l'eroina, gli incontri «mistici» che ne hanno modificato radicalmente un percorso di vita già ampiamente deviato. Fino a quel volo dalla finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam, un tuffo nel vuoto dal quale nemmeno la sua tromba lo potè salvare. Sull'episodio di quel 13 maggio 1988 c'è ancora un alone di mistero: suicidio o incidente? Le massiccie dosi di droga alle quali era sovente far ricorso il trombettista americano, lasciano appesa a un filo immaginario la risposta. Ammesso che qualcuno voglia averne una o che averla possa cambiare qualcosa nel solco tracciato da Baker nella storia musicale contemporanea. Vent'anni dopo quel misterioso «volo», il protagonista di questo romanzo riceve un'altrettanto strana telefonata che riapre le porte all'incognita. Chet non sarebbe morto, ma vivrebbe da eremita nel Salento davanti a quel tratto di mare tra Torre del Serpe e la Palascìa. Parte così l'avventura, raccontata quasi sottovoce ma con dovizia di riferimenti storici e particolari da Roberto Cotroneo, alla ricerca della verità. Un percorso nel quale il protagonista incontra le molte donne che hanno costellato la vita dell'artista maledetto: uno dei miti musicali più controversi e discussi del Novecento. «Il grido più struggente del ventesimo secolo» definì qualcuno la sua musica. Così «e nemmeno un rimpianto» inizia la ricerca dell'incognito che si trasforma rapidamente nella riscoperta di questo mito del jazz contemporaneo. Lo scopo è chiaro, ripercorrere grazie a personaggi che l'hanno vissuta, la vita dell'uomo che con la sua musica ha «spalancato la porta sul buio dell'anima». Donne, ma non solo, amici, musicisti fino al mistico filosofo armeno che per certi versi gli sconvolse la strada. E quando lo ritrova, vecchio, col volto pieno di rughe preso a intagliar legno di ulivo con il coltello, dentro è sempre il solito Chet. Pronto ad aprire le porte del passato, di quella storia pazzesca modello romanzo, che era stata la sua vita. Una vita che non si può raccontare e forse vissuta fin troppo... per un bianco con la tromba.

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