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Capri e lo 007 della regina Vittoria

Capri

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La primavera scorsa si portò via Roberto Ciuni, un direttore di giornali, uno scrittore di storia, un siciliano dolce o furente, a seconda dei momenti, che forse sarebbe giunto anche alla guida del "Corriere della Sera" se la fortuna non gli avesse dato buca al decisivo rendez-vous. Aveva uso di mondo, calcolava bene i suoi passi, ma da giovane era stato una testa calda: e fortunato chi lo conobbe quel ragazzo di città che nel dopoguerra si univa ai braccianti del Palermitano in lotta contro il latifondo. In quella scorsa primavera Roberto Ciuni aveva finito di scrivere, finalmente, una vita pazientemente indagata per anni ed anni in archivi napoletani e londinesi, in piccole e grandi biblioteche, in case capresi e in dimore lontane: la storia di un personaggio, un inglese, Henry Wreford, che visse a Capri tre quarti della sua vita, a Capri radicò profondi affetti e là si spense, ottantaseienne, nella sua Villa Croce il 26 marzo 1892. Per la pubblicazione, la storia di Wreford abbisognava tuttavia di qualche rifinitura, reclamava una sistemazione. Scrupolo ed eleganza di scrittura, questo compito generosamente se l'assunse Ernesto Mazzetti, amico e collega del compianto autore. E così le Edizioni La Conchiglia, incastonate nell'isola ma di largo sguardo, han dato ora alle stampe in veste d'azzurro un libro avvincente e suscitatore di congetture. Una documentata narrazione che coinvolge Regno Napoletano, episodi risorgimentali, scenari internazionali e vita isolana. Con un titolo e un sottotitolo che ben descrivono l'argomento: Lettere al Times da Capri borbonica. Le corrispondenze di Henry Wreford che mutarono l'opinione politica d'Europa sul Regno delle Due Sicilie (270 pagine, 23 euro). Henry Wreford apparve dapprincipio come - si direbbe oggi - un "giornalista militante", ossìa un giornalista che ha preso partito, e decisamente. Non soltanto per "The Times" ma anche per il "Daily News" egli informava di quanto avveniva "tra l'acqua santa e l'acqua salata", come Ferdinando II delimitava il suo regno; ma informava praticando un'ostilità tagliente ed inesausta verso la monarchia borbonica, e più largamente verso la condizione sociale, economica, culturale di Napoli. Wreford era giunto da Londra, città per così gran parte corrotta e miserabile, la Londra di Dickens, e inevitabilmente raccontava il peggio di quanto c'era sotto il Vesuvio. Un'ostilità, la sua, che sicuramente contribuì a colorare di tinte ancor più fosche, in tutta Europa, lo stereotipo già gravante sulla città dalla fine del Settecento: quello stereotipo che Goethe si preoccupò di correggere nelle lettere spedite in Germania durante i suoi soggiorni napoletani, riferendo invece molto del meglio che incontrava. Quali furono le radici della "militanza" di Wreford? Per le relazioni ch'egli coltivava a Londra e per il denaro di cui disponeva, la polizia lo ritenne al soldo del governo inglese più che al soldo dei giornali. A Capri comprò diversi terreni e una casa, e un'altra, Villa Croce, fu costruita sul suo disegno. Stando a quanto riferì un confidente (la sbirreria lo teneva costantemente d'occhio, ma il governo non lo espulse mai) una volta a Capri, dov'era stimato e ben voluto per il tratto affabile e per la generosità, egli stesso confidò a degli amici d'essere appunto al servizio della Corona. Per Roberto Ciuni fu da sempre anche un agente, o lo divenne. Non c'è dubbio, comunque, che Wreford fu un uomo di William Gladstone, il politico, il cancelliere dello Scacchiere, il premier che, come è noto, promosse e finanziò in Europa la più massiccia campagna di stampa dell'epoca, volta a screditare la casa regnante napoletana. Gladstone non proveniva da travagli liberali. Tanto che nel 1835 si era pronunciato per il mantenimento della schiavitù nei domìni del Regno Unito: eppure erano passati vent'anni dal Congresso di Vienna che lo condannava. Ma al pari di Wreford il potente ministro amava Napoli, dove viaggiò anche nel 1851, visitandone le bellezze e i luoghi d'arte, e rimanendo colpito da quel che vedeva brulicare nei quartieri popolari. (Napoli era allora, con Parigi, Londra e Vienna, una delle grandi capitali europee). Ma non si può certo credere che Gladstone promosse la campagna di stampa anti-Borbone per amore del Golfo o perché gli stavano a cuore le piaghe sociali partenopee, visto che le cancrene di altre latitudini, e persino il servaggio, non gli facevano specie. Semplicemente, la sua condotta rifletteva gl'interessi della politica estera inglese. Nei comportamenti di Henry Wreford si scorgono invece motivazioni in aggiunta, che affiorano nelle belle pagine di Ciuni senza alcun carico particolare. Quell'inglese di Capri, quell'observer che tiene sott'occhio Napoli e non perde di vista un po' tutto il Mediterraneo signoreggiato in tanta parte dalla Royal Navy, aveva lasciato moglie e figlia a Londra e s'era accasato nell'isola con Brigidella, che poteva essergli più che figliuola: sicché tutta la famiglia di lei gli si era affezionata. Del resto, correvano già all'epoca licenze nella Capri di metà Ottocento che viveva d'un po' di pesca e d'un po' di agricoltura, e dopo tutto si sapeva che il milord era un "protestante", con certe sue vedute. Un leit-motiv dei suoi articoli fu l'intensa religiosità cattolica dei Borboni, che agli occhi suoi, come a quelli dei tanti nemici della dinastia, era nient'altro che un nauseante devozionismo, dispiegato in copertura d'una corruzione sulla quale si tenevano a galla i governi. Insomma, i suoi erano gli argomenti dei rivoluzionari che, al di là delle rivendicazioni più immediate, miravano all'abbattimento della Casa regnante e alla dissoluzione delle Due Sicilie in vista d'un'Italia una. Ma non solo. Wreford fu anche operativamente dalla parte dei rivoluzionari, giungendo a contribuire alla fuga d'un attentatore di Ferdinando II, partecipando ad associazioni segrete, ostentando stretti rapporti con detenuti politici: e certamente subendo qualche fastidio poliziesco, lui e la sua famiglia adottiva caprese, ch'era la numerosa parentela di Brigidella, ma sperimentando invece un'incredibile tolleranza, tale che i suoi amici Poerio e Nisco non l'avrebbero neppure sognata. Fu ben pagato dal suo governo quell'inglese, ma servì con sicura convinzione e con passione anche la causa dell'Italia unita in cui credette si potessero sanare i malanni di Napoli. E la sua storia è molto più di un romanzo.

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