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di ANGELA DI PIETRO Buone come uno yogurt «vecchio» di qualche mese.

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Èintrigante come un film di scuola americana il libro «Le 101 donne più malvagie della storia» di Stefania Bonura (Newton & Compton, 426 pagine, 14,90 euro) che fra realtà e fiction racconta le storie (talora bizzarre o agghiaccianti, o ancora sottilmente caustiche) di donne comuni e regine, mogli di leader ed eroine del male passate alla storia come incapaci di usare il cuore. A dire la verità, la sezione «storica» non fa grosse rivelazioni ma spiega diligentemente perché per esempio una regina inglese, Maria I Tudor, fu soprannominata «Bloody Mary» o quali progetti cospiratori inseguissero Agrippina Minore o Messalina. La parte dedicata alle assassine «criptiche» (spesso dotate da madre natura dei classici occhi spiritati) è quella che piacerà di più ai lettori. Brividi sotto l'ombrellone, dunque, per chiunque voglia scoprire i misteri di una zitella trentenne, Lizzie Borden, che nel 1892 fu accusata di aver fracassato il cranio del ricco e avaro padre e della matrigna, in una afosa mattina estiva, negli Stati Uniti. Lizzie Borden, che fu assolta per mancanza di prove, avrebbe agito spinta dall'odio e da una psiche malata. Avrebbe fatto schizzare il cervello del padre sulle pareti del salotto senza battere ciglio. Avrebbe infierito sulla matrigna Abby, paesanotta grassa e ingenua, lasciandola inerme a faccia in giù in una camera da letto. Per la cronaca, sulle ceneri della casa Borden, a Fall River (Massachusetts) è stato realizzato un Bed & Breakfast dalle tinte «gialle», con gadget dell'orrore, dalla copia dell'accetta presumibilmente usata da Lizzie alle bambole dagli abitini di velluto rosso sangue e pizzo color crema. Ma è anche un'altra donna - italiana questa volta - a incuriosire come la Borden. Trattasi di casalinga dalla faccia da pazza, Leonarda Cianciulli, che nel 1940 ammazzò (per rubare loro pensioni e averi di vario genere) tre donne, di cui si sbarazzò sciogliendole nell'acido e trasformandole in biscottini e saponette, che offriva ai vicini di casa. È la «saponificatrice di Correggio», spietata serial killer alla fine spedita in prigione. C'è anche, fra le crudeli senza speranza, Ilse Kock, moglie del direttore del campo di concentramento di Buchenwald. Sembra che la signora si divertisse a procurarsi souvenir con la pelle delle povere vittime del campo di sterminio. Elena Ceausescu, prima signora romena, meglio nota come «Madame», fu invece accusata di aver mandato centinaia di bambini in orfanatrofio conducendo senza briciole di rimorso una vita ricolma di comodità. Ma è la parte della fiction ad alleggerire la narrazione coinvolgente ed a mostrare le indubbie capacità descrittive di autori inglesi o americani che hanno consegnato al cinema figure femminili drammatiche e luciferine. Da Crudelia De Mon, naturalmente (personaggio abbastanza tiepido e tutto sommato rientrante nei canoni di una cattiveria generica) all'enigmatica madame Danvers, creata dalla penna felice di Daphne Du Maurier nel libro «Rebecca, la prima moglie» che Alfred Hitchcock avrebbe reso immortale nel film made in Hollywood egregiamente recitato da Lawrence Olivier e Joan Fontaine. Madame Danvers è la governante di Rebecca, la moglie di un aristocratico drammaticamente morta in circostanze non chiare. Quando il padrone di casa incontra e sposa un'ingenua badante, la governante cerca in tutti i modi di spingerla al suicidio, non volendo accettare altre datrici di lavoro che la misteriosa Rebecca, la quale a fine film verrà svelata in cifre titt'altro che divistiche. Guance rosse, boccoli e abiti a balze, le sorelle Abby e Martha Brewster sono le protagoniste (incantevoli, crimini commessi a parte) di una storia pazzerella, grande successo di Broadway e poi altrettanto efficace lavoro del regista Frank Capra. Il loro nipote (Cary Grant, nel film) scopre che le ziette hanno un hobby inconsueto: uccidono i loro «signori» facendo bere loro bicchierini di cristallo colmi di sambuco misto ad un veleno potentissimo. È il loro fratello Teddy a seppellire le vittime: è sciroccato anche lui e crede di essere Theodor Roosvelt. Insomma, questo libro lascia spazio alle curiosità più morbose che attingono alla cronaca - più o meno recente - e alla narrativa. Lasciando poco spazio ai ghirigori stilistici, con uno stile asciutto. E un solo neo, ma evidente: alcune vicende avrebbero meritato più pagine e maggiori sottolineature, altre solo poche righe.

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