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Una Biennale sottosopra

il padiglione usa alla biennale 2011

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Aveva ragione quel furbone di Maurizio Cattelan che appena entrato alla Biennale nel Padiglione ai Giardini con la parte centrale della mostra “ILLUMInazioni” di Bice Curiger ha esclamato: «I capolavori di Tintoretto ammazzano tutto il resto». E così il celebre artista, astuto come una volpe, ha scelto di fare un'opera defilata ed ironica con tanti piccioni tassidermizzati appollaiati in alto, nelle sale, che osservano il confronto tra visitatori ed opere. Il problema sta proprio qui: la gente resta incantata dai tre capolavori del Tintoretto (l'«Ultima Cena», il «Trafugamento del corpo di San Marco» e la «Creazione degli Animali») che agli occhi della curatrice esemplificano l'idea più sublime di luce nell'arte ma poi resta delusa dalle opere contemporanee che invece dovrebbero essere protagoniste della Biennale. Anzi, qualche visitatore è molto duro: «Francamente quei piccioni vagamente minacciosi – dice alla moglie un signore di Milano – mi fanno pensare che molte opere inconsistenti meriterebbero di essere punite dai loro escrementi». Anche se la Biennale della curatrice svizzera è rigorosa e forse un po' troppo fredda e povera di emozioni, è evidente che il pubblico non ne può più di provocazioni, scherzi irridenti, trovate di cattivo gusto. E proprio per questo i sublimi capolavori di Tintoretto placano ogni sete di bellezza ma entrano troppo in contrasto con tutto il resto. Fra le opere che suscitano curiosità e sconcerto c'è il carro armato rovesciato e trasformato in pista da footing dagli americani Allora e Calzadilla per il padiglione statunitense ma anche la gondola con le ruote presentata nel padiglione svizzero di Thomas Hirschhorn. Inquietante è la chiesa da incubo ricostruita nel Padiglione della Germania il cui nome all'entrata viene cambiato in “EGOMANIA” dall'artista Christoph Schlingensief. Ipnotico e visionario è anche il Padiglione dell'Arabia Saudita con una moltitudine di sfere d'acciaio illuminate dall'alto da luci multicolori e sovrastate da un cubo che evoca la Ka'ba della Mecca. Fra le opere più amate dai bambini c'è il grande cubo in plastilina di vari colori ideato da Norma Jean che i visitatori possono manipolare ed usare a loro piacimento per fare pupazzi o scritte sui muri. Mentre molti di loro sono terrorizzati da una specie di gigantesco vampiro-drago di gomma nera e nastrini rossi dell'artista sudafricano Nicholas Hlobo. E degna di nota è anche la copia in cera a grandezza naturale del Ratto delle Sabine di Giambologna realizzata da Urs Fisher che essendo una gigantesca candela a poco a poco brucerà e si scioglierà. C'è poi un'opera lunga 24 ore, il video The Clock di Christian Marclay che ad ogni ora del giorno ci fa rivedere scene di film famosi, da Chaplin a Hitchcock e a Woody Allen in cui c'è sempre un orologio che segna le 13:15. Però, a cercare con calma, c'è almeno un'opera che il paragone con Tintoretto lo regge bene: l'ambiente dell'americano James Turrell ci porta in una dimensione di pura luce, ci fa rivivere in pochi minuti l'esperienza fisica ed interiore del passaggio dalla notte al giorno, ci incanta ed ipnotizza con un impatto quasi mistico. Ma anche i tre video della svizzera Pipilotti Rist che trasformano tre vedute di Venezia in un caleidoscopio di metamorfosi visive acquatiche e floreali ci spalancano nuove dimensioni dell'immaginazione. I turisti vagano stupiti tra calli e campielli di una città poetica che l'invasione degli artisti ha reso ironica. Una straniera scalza e con la maschera d'ossigeno sulla faccia pesta l'erba dei prati. Nell'isola di San Servolo una piattaforma squaderna soldatini e carri armati sotto le mani di un bambino che ci gioca: ma la provocazione di Lorenzo Quinn (extra Biennale) è in scala gigante. Certo, non è arte eccelsa, alla Tintoretto. E se è semi-arte, meglio divertirsi. Così, tutti in fila per entrare nel labirinto allestito da Mike Nelson nel Padiglione della Gran Bretagna. «Sembra un carcere», sussurra qualcuno. Ma l'importante è esserci.

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