Cimino: "Ci illudiamo di dominare la natura"
Presidente di giuria al Festival Cinemambiente di Torino, Michael Cimino, regista del capolavoro «Il Cacciatore» con Robert De Niro e Meryl Streep (grazie al quale vinse cinque Oscar nel 1978) ha anticipato alcuni progetti, svelando. Su tutti Bernardo Bertolucci, suo grande amico. Unghie laccate, occhiali scuri su un fisico minuto, magro e dal passo lento, Cimino sfoggiava (all'hotel Principe di Piemonte di Torino) un grande cappello bianco stile cowboy. Mr. Cimino, qual è oggi lo stato del cinema? «Non ho studiato cinema, ma architettura e pittura. Come la casa si costruisce partendo dalle fondamenta, così un film va pensato dalla base, occorre un bel soggetto. Quando, dallo stesso originale, si continuano a fare copie delle copie, la cinematografia perde di valore artistico. L'approccio feticistico, che spinge spesso a ispirarsi al passato, non consente però il rinnovamento. E poi, ci sono pellicole che invecchiano troppo velocemente, perché non hanno una vita propria e unica». Qual è la differenza tra film italiani e hollywoodiani? «Hollywood non è cambiata, i giochi di potere e la mentalità sono inalterati. Così, i miei rapporti con l'industria cinematografica restano complicati. Ora l'America sta vivendo per giunta una grande confusione e anche Obama mi pare confuso: i cinesi dicono che il pesce puzza dalla testa. In Italia, invece, il cinema è quello del passato, ci sono stati maestri assoluti: penso a Fellini, Antonioni, Visconti, Pasolini e soprattutto a Bernardo Bertolucci, mio amico». Lei ha debuttato con «Una calibro 20 per lo specialista» con Eastwood, cosa pensa dei film che fa ora Clint? «Clint sta vivendo la sua vera vita: è un coraggioso anticonformista e il successo non lo ha cambiato». Ricorda qualche aneddoto sul set del «Cacciatore»? «È stato un set duro ma divertente. Alla scena del matrimonio partecipò tutto il paese nel quale giravamo, mangiavano e ballavano con la musica russa: ha il ritmo giusto per una festa di nozze. Adoro la Russia e la sua letteratura, una volta Nabokov disse che un libro, come un film, è una forma di magia, fatta di inganni e incanti». Da presidente del festival Cinemambiente, come pensa si possano evitare i disastri ecologici? «Io vivo tra New York e la California, amo i paesaggi, i grandi spazi, i canyon e vorrei che tutto restasse così. Il nucleare non è un problema concreto: la Terra vive da miliardi di anni e noi solo da circa 150 mila. La questione è più ampia e riguarda il rapporto tra natura e uomo, che s'illude di poterla dominare, invece è il contrario. Da bambino ho vissuto con gli indiani d'America, i Dakota e i Navajo: lì ho imparato a rispettare il mondo. Per loro ogni cosa ha uno spirito, una goccia d'acqua come la neve, il sole, la nebbia o gli alberi. Se uccidono un animale per mangiarlo, prima pregano per lui e gli chiedono perdono. I villaggi dei Dakota potevano essere smontati in 20 minuti e sul terreno non rimaneva alcuna traccia. È da vent'anni che vorrei fare un film sugli indiani, ma finora non ci sono ancora riuscito». Ha altri progetti in cantiere? «Ho scritto due sceneggiature, di una non voglio anticipare nulla, l'altra è per un film ispirato a "La condizione umana" di Malraux».