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La macchietta di Rascel e l'eroe di Gance

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Il«piccoletto» Renato Rascel divagava con nonsense sulla figura del Grande Còrso. E ne vestiva i panni pretenziosi in un film del 1951 scritto da Monicelli, Steno, Leonardo Benvenuti. Il Generale poteva subirlo, il torto di essere virato in macchietta. Capita a quelli che hanno fatto la Storia, specie ai megalomani di contenuta statura. E poi evviva la presa in giro dopo la divinizzazione decretata da letteratura e cinema. A scuola Manzoni ci aveva fulminato con l'incipit di «5 maggio», quell'«Ei fu» eccetera eccetera mandato a memoria da scolari perfetti per la Gelmini. Per non dire di Foscolo con «In morte di Napoleone», di Alfieri con «Misogallo». E dell'affresco di un'epoca in «Guerra e pace» di Tolstoj. Romanzo storico, epopea, filosofia e sentimenti sullo sfondo della napoleonica Campagna di Russia. Qui il condottiero della battaglia di Borodino è il Burattinaio che plasma l'Europa. Ma a farne personaggio mitico è il grande schermo, con quel «Napoleon» di Abel Gance che inventa il kolossal. Era il 1927, il regista francese aveva pensato a un'epopea distesa su tre film. «Napoleon vu par Abel Gance» - e il titolo dice tutto di un cineasta paragonato a Griffith - racconta in 235 minuti la storia del futuro imperatore di Francia dalla fanciullezza alla Campagna d'Italia. Gli occhi ardenti di Albert Dieudonné disegnano una sorta di Prometeo, secondo Fernaldo Di Giammatteo, il critico cinematografico che inserì la pellicola nei cento film da salvare. E che scrive: «La storia pubblica e l'esistenza privata sono trasfigurate in una allegoria eroico-patriottica che travolge e annulla anche il rischio del ridicolo (dopo un'inquadratura del letto nuziale, immerso in una sfumata luce bianca, la didascalia informa: "Due notti di delirio. E sogni di gloria")». Il muto asseconda l'impatto del personaggio. Gance lavora quattro anni alla pellicola, costata 17 milioni di franchi. Aveva previsto uno schermo triplo. Troppo per le sale cinematografiche dell'epoca. Ma una memorabile serata romana degli anni Settanta, con il cinema alla Basilica di Massenzio secondo il rito effimero inventato da Renato Nicolini, creò per Gance lo sfondo ideale. Il cineasta francese dovette rinunciare agli altri due sequel della biografia napoleonica. Però nel 1960 tornò sull'argomento con «La battaglia di Austerlitz» inchiodando il cinefilo sulla poltrona per 170 minuti. Prima, nel 1937, c'era stato «Maria Walenska» di Clarence Brown, con Greta Garbo languida nei guanti di pizzo della contessa polacca «strapazzata» dal condottiero. Nel 1970 il Generale ha la faccia di Rod Steiger in «Waterloo» di Bondarciuk e nel 1973 quella casereccia di Renzo Palmer in un nostrano sceneggiato tv. Cinque anni fa il cappello con la coccarda bianca rossa e blu se lo infilò Daniel Auteuil per «N» di Paolo Virzì. Tratto dal romanzo di Ernesto Ferrero, Premio Strega. Anche il Ninfeo di Villa Giulia si era inchinato al Re d'Italia.

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