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Il viaggio «pasoliniano» a Corviale

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diDINA D'ISA La periferia capitolina come sfondo di tre storie legate fra di loro dal filo rosso del disagio presente nelle periferie metropolitane. Soprattutto se lo scenario è quello del Serpentone di Corviale, icona della solitudine contemporanea che si consuma in un palazzo lungo un chilometro su una delle più periferiche colline romane. A raccontare questa realtà è il film «Et in terra pax» di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, amici fin da bambini, già autori di cortometraggi e videoclip musicali, che raccontano (in chiave pasoliniana) la violenza del branco e l'isolamento di una vita passata nella Terra del nulla. La pellicola, prodotta da Arcopinto e Isola con un low budget di 100 mila euro, sarà nelle sale da venerdì distribuita da Cinecittà Luce, dopo essere stata presentata alle Giornate degli Autori alla scorsa Mostra di Venezia, con un titolo che si rifà alla musica sacra del Gloria di Vivaldi. «Pasolini dovrebbe essere fonte di ispirazione per chiunque si avvicini al cinema e all'arte in generale - ha detto Botrugno - Questo non è un film su Corviale, le periferie sono tutte simili. Quello che volevamo raccontare è soprattutto la solitudine esistenziale. Ascoltavo la musica di "Et in terra pax" mentre scrivevo questa storia a cui non sapevo che titolo dare. Alla fine, con Coluccini abbiamo deciso di citare questo titolo come una sorta di provocazione. In "Accattone" di Pasolini c'è la "Passione secondo Matteo" di Bach. E così, anche noi abbiamo scelto la musica sacra che ha un ruolo fondamentale nel racconto. Abbiamo voluto mescolare i rumori della periferia con brani classici, per poi costruire tante scene sulle musiche e lavorare molto anche sul silenzio». Originari dell'Alberone, quartiere romano nato ai primi del Novecento, i registi hanno sottolineato che Roma «qui, rappresenta qualsiasi città del mondo, anche se si vede Corviale e qualche scena è girata in Prati. Corviale ci serviva perché era un posto forte scenograficamente. Abbiamo fatto una ricerca a Tor Bella Monaca, ma è più dispersiva. Mentre questa periferia di Corviale somiglia a tante altre, come ci hanno confermato ai Festival internazionali. Quello che accade nel film (spaccio di droga, risse, fino allo stupro di una ragazza) sono fatti di cronaca che si leggono su qualsiasi giornale metropolitano. Alla fine, c'è chi si rialza, guarda fuori dalla finestra, ma la speranza è poca». La borgata romana è quindi teatro di vicende di sopravvivenza e contraddizioni, dove vengono spesso espressi rabbiosi istinti e volontà di riscatto sociale. «Il Serpentone del quartiere Nuovo Corviale ci è sembrato il luogo più adatto per raccontare un microcosmo di destini ed esistenze intrecciate tra loro - hanno aggiunto i registi - L'immenso e isolato palazzo che fa da sfondo alla storia è un'ombra che opprime e che allo stesso tempo protegge, logora e crea nuovi fermenti vitali. È un'isola, un quartiere, un'intera città. È la metafora stessa della vita di ogni individuo. La ricerca di un altrove indefinibile è al centro del nostro film. Ogni sacrifico, sacro o profano, utile o sterile, è una disperata affermazione della propria esistenza». Intanto a Corviale i residenti credono più alla fine del mondo nel 2012 che all'abbattimento del Serpentone. Ma nel frattempo, per convivere con l'anaconda di cemento, c'è chi ha adottato un manuale di sopravvivenza molto semplice: «Basta avere i paraocchi e non guardarsi intorno, una volta chiusa la porta di casa va tutto bene».

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