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Proietti one man show

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diTIBERIA DE MATTEIS È già tutto esaurito al Sistina per lo spettacolo «Di nuovo buonasera» di Gigi Proietti che, da domani al 19 giugno, rinnova un suo cavallo di battaglia per celebrare anche i 35 anni dal successo straordinario di «A me gli occhi, please» che ha segnato una tappa decisiva nella carriera dell'attore romano e nella storia italiana dell'one man show, ormai diventato una consuetudine molto gradita al pubblico. Quali sono le novità di questa edizione del suo varietà "Di nuovo buonasera"? «Ci sono un paio di canzoni come "Rappresentazione", composta da Roberto Giglio e "San Lorenzo" che sono funzionali al mio racconto. In questa breve ripresa di fine stagione intendo, infatti, festeggiare i 35 anni trascorsi da quel maggio del 1976 in cui ci fu la prima assoluta di "A me gli occhi, please" a Sulmona. Recupero qui due brani di allora, fra cui il mio tipico grammelot». Cosa ricorda di quell'esperienza? «Lo stupore. Scoprimmo di avere fra le mani uno spartiacque della vicenda scenica. Tutto era iniziato per caso perché con Roberto Lerici avevamo realizzato alcune puntate televisive di "Fatti e misfatti" in cui Ornella Vanoni ed io eravamo alle prese con eventi storici. Pur avendo vinto la Rosa d'Oro a Montreux, la trasmissione non era andata in onda subito per problemi tecnici e così pensammo di trasferire sul palcoscenico alcuni pezzi per mostrarli al pubblico». Le repliche non si contarono: quando lo presentò a Roma? «La prima volta al Teatro Tenda gestito dall'impresario Molfese. Quando cantavo il brano "Nun glie da' retta Roma", scritto da Armando Trovajoli e Luigi Magni, che ora si potrà riascoltare al Sistina, si sentiva il ruggito delle leonesse che erano rimaste lì da un circo precedente. C'erano duemila posti riempiti fin dal primo giorno e quello show ha poi raggiunto le 500 mila presenze romane. Tutti i miei spettacoli successivi sono nipotini di "A me gli occhi, please" con l'esibizione di generi differenti e la contaminazione fra cultura alta e popolare». I suoi fans ritroveranno al Sistina i suoi temi ricorrenti? «Il tempo, la memoria, la dicotomia tra finto e falso mi appartengono da sempre. Racconterò anche una mia storia d'amore che non si saprà mai se vera o inventata. Del resto io ripeto spesso: "Viva il teatro dove tutto è finto e niente è falso: questo è vero!". È una frase che piace e viene ripresa anche senza dire che sia mia». Se non fosse romano, la sua carriera sarebbe stata molto diversa? «Se fossi nato a Napoli, mi sarei inserito in quella grande tradizione culturale e teatrale e avrei fatto esperienze in un'altra direzione». Che legame ha con Roma? «Mi sono vantato di conoscerla in passato, oggi mi è più misteriosa e non so più cosa accada. Con la mia famiglia ho abitato in tanti quartieri diversi: sembravamo nomadi. Sono nato in Via Giulia, poi siamo andati in Via Annia, vicino a Villa Celimontana, in seguito nei pressi di Via Veneto in uno scantinato e infine al Tufello e a San Giovanni. Ho visto tante facce diverse della città». Avrebbe ancora voglia di gestire un teatro capitolino? «Per ora dirigo il Globe Theatre, fiore all'occhiello della mia attività con 49 mila presenze e il desiderio di allungare la stagione. Ci sono poi trattative in corso per l'Ambra Jovinelli, ma è questione di risorse. Un teatro è redditizio come il poker: si perde sempre». Gli allievi del suo laboratorio registrano immensi consensi e hanno una forte popolarità. Merito dei suoi insegnamenti? «Mi inorgoglisce, ma sono maturati sbattendo le loro teste. È stata una facilitazione farsi conoscere in televisione. Le selezioni per la scuola erano severe: compivamo con spirito pionieristico un lavoro didattico poco terroristico e paludato. Era una formazione professionale gratuita e mi piacerebbe che non si trattasse di un'avventura irripetibile». Quando sale sul palco prova ancora un brivido? «Sono sempre emozionato anche se ho 46 anni di mestiere. Ho già cominciato a non dormire per l'appuntamento col Sistina. Sul palco, però, sto proprio bene!».

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