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di LIDIA LOMBARDI Il ministro per i Beni Culturali, il veneto Galan, ha la poltrona in un palazzo del Cinquecento nel cuore di Campo Marzio.

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FrancoFrattini riceve gli ambasciatori e i capi di Stato di tutto il mondo in uno dei più begli esempi di architettura razionalista, il colosso bianco della Farnesina, ai piedi di Monte Mario. E il titolare del dicastero dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, lavora in un edificio firmato Marcello Piacentini e illuminato dalle vetrate di uno dei più grandi artisti del primo Novecento, Mario Sironi. Adesso, siamo onesti. In quale altra città d'Italia i ministeri troverebbero sedi tanto prestigiose, tanto gravide di storia, tanto arricchite da opere d'arte, da collezioni di scultura e di pittura? Dove scoverebbero i segni della nostra identità, non di romani, ma di italiani? Roma «ladrona»? Macché. Regala invece alle istituzioni pubbliche il prestigio dei suoi palazzi. Al punto che il cuore dello Stato riceve carisma forse più dalle sedi in cui pulsa che dagli uomini che dovrebbero pompare il sangue in tutte le arterie. Ieri in via Veneto, davanti all'ingresso del ministero che ha accorpato Commercio, Industria e Comunicazioni, un gruppetto di stranieri usciti dall'hotel Majestic, proprio lì di fronte, ha guardato incuriosito oltre le porte bronzee scolpite da Giovanni Prini. Si apriva un atrio lucido di marmi, uno scalone e, sullo sfondo, una vetrata alta trenta metri, un mosaico con figure possenti e colorate: una contadina con l'abito verde e un cesto di frutti rossi sulla testa, fabbri con le braccia gonfie dallo sforzo, guizzi di luce bianca dalle arcate di una fabbrica. È uno dei capolavori di Mario Sironi, il pittore che rilancia negli anni Trenta del Novecento il plasticismo della figura. L'artista ci mette il cuore e l'intelletto nella decorazione di quello che nacque come Palazzo delle Corporazioni. Marcello Piacentini - l'urbanista della Città Universitaria e dell'E42, l'architetto del Palazzo dello Sport ideato a quattro mani con Pier Luigi Nervi - lo disegnò con una facciata lunga e curva, ad assecondare la curva in salita di via Veneto. Il portone reca gli altorilievi in bronzo di Giovanni Prini, il balcone soprastante ha quelli in porfido di Antonio Maraini, con i simboli delle attività produttive, dalla cornucopia del credito all'incudine e alla ruota dentata dell'industria. Il parallelepipedo bianco della Farnesina (era in principio il Palazzo del Littorio, doveva sorgere prima in via dell'Impero, poi all'Aventino, poi finì nel Foro Mussolini, sui terreni dei principi Farnese) è opera di Foschini, Morpurgo e Del Debbio, l'artefice dello stadio divenuto Olimpico e di quello dei Marmi. I lavori si fermarono durante la guerra, fu eliminata la torre littoria. Ma il fascino delle finestre seriali, del lungo corpo candido, del basamento di travertino, degli enormi, squadrati spazi interni ne fa opera esemplare. Per i travet che riempiono le stanze del ministero dei Beni Culturali altre suggestioni. Ecco la Roma del Cinquecento, quella dei Papi e dei principi. Degli eruditi in tonaca, come i gesuiti. Degli scienziati che si fermavano nella meta più ambita del viaggio in Italia. Il complesso del Collegio Romano fu pensato dal grande santo della Compagnia di Gesù, Ignazio. E fu inaugurato nel 1584, mentre era papa Gregorio XIII Boncompagni. La grande, severa facciata, ideata dal gesuita padre Giuseppe Valeriano e coperta di mattoni, rimanda al carisma della scuola, dove si imparava filosofia e teologia, matematica, latino, greco, ebraico. Quando si costruì la Chiesa di Sant'Ignazio, con la cupola trompe l'oeil di Andrea Pozzo, si ridisegnarono anche le biblioteche. Due delizie per gli occhi, specie quella chiamata della Crociera, per la posizione intrecciata dei due bracci. I Gesuiti vi raccolsero un patrimonio librario ricco di incunaboli e manoscritti. Più tardi, si aggiunsero volumi di tutti i tipi, periodici, quotidiani. Una massa di scritti che formarono il nucleo della Biblioteca Nazionale Centrale (ancora la targa all'ingresso del ministero lo ricorda), fonte di conoscenza per gli studiosi di tutta Italia poi trasferita nella moderna sede di Castro Pretorio. Come fu meta di scienziati il museo di Padre Athanasius Kircher e l'Osservatorio astronomico derivato dalla cattedra di astronomia del Collegio Romano. Insomma, quando nel 1975 Giovanni Spadolini creò i Beni Culturali, ebbe la sede più giusta. Senza contare che il ministro ha anche una «dependance» in un palazzo speciale: l'ex convento di San Michele a Ripa, sulla sponda del Tevere. I lungotevere squadernano anche le possenti ancore nere delle corazzate austriache Viribus Unitis e Tegetthoff, affontate dai nostri durante la prima guerra mondiale. È l'ingresso di Palazzo Marina, un edificio eclettico che nei colori replica la facciata del Basile in piazza del Parlamento per l'ala nuova della Camera dei Deputati. Invece il dicastero del quale Palazzo Marina è una costola, la Difesa, riporta alla fine dell'Ottocento. Ignazio La Russa passa le giornate addirittura in due palazzi contigui, il Caprara e il Baracchini. Si affacciano su via XX Settembre, nella zona che lottizzò eliminandoli i giardini dei Barberini. Una sequenza di finestre e di ingressi e all'interno, a profusione, affreschi, stucchi, balaustre. Siamo nel 1884, i piemontesi vogliono strabiliare i cittadini della nuova Capitale. Nel 1940 i due edifici vengono acquistati dal ministero della Guerra. Ai Savoia sarebbe dispiaciuto sapere che funzionari e generali, nei lontani anni Duemila, non avrebbero più oltrepassato i pretenziosi portoni. Per l'imputatura di un senatùr nordista.

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