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Rivoluzione virtuale

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diNICOLA IMBERTI Jonah Lynch è un ragazzo di 33 anni, cresciuto in una comune hippies, laureato in Fisica alla McGill University a Montreal. Jonah Lynch è cresciuto nell'età dell'oro di internet. È stato il primo tra i suoi colleghi liceali ad avere un modem e agli inizi degli anni '90 si destreggiava con una certa abilità tra email e chat. Jonah Lynch è un prete. Vicerettore del seminario della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo a Roma. A questo punto qualcuno storcerà il naso. Perché un sacerdote che scrive un libro sulla «tecnologia e i rapporti umani nell'era di Facebook», «Il profumo dei limoni (edizioni Lindau, 144 pagine, 11 euro) scatena naturalmente una lunga serie di pregiudizi e frasi fatte del tipo: «Sarà il solito sermone contro il cellulare e il computer». Ma le pagine di Lynch sono tutt'altro che un «sermone». Sfogliandole non troverete «anatemi» contro la tecnologia, né la proclamazione di crociate per tornare al Medioevo. Per dirla cone le parole di Aldo Cazzullo che ha curato la prefazione del volume: «Sono pagine stranamente laiche». Il motivo è semplice. L'autore non applica uno schema alla realtà, ma racconta un'esperienza. Parla di sé e di noi allo stesso tempo. La sua non è una ricetta preconfenzionata, ma un percorso che parte da un fatto: il profumo dei limoni. Vi state chiedendo cosa c'entrano i limoni con la tecnologia? Lo fa anche Lynch all'inizio del suo libro: «Ma cosa c'entrano i limoni con la tecnologia? Un limone colto dall'albero ha la scorza ruvida. Più curato è l'albero, più ruvida è la scorza. Se la si schiaccia un poco ne esce un olio profumato e d'improvviso la superficie diventa liscia. E poi c'è quel succo asprigno, così buono sulla cotoletta e con le ostriche, nei drink estivi e nel tè caldo! Tatto, olfatto, gusto. Tre dei cinque sensi non possono essere trasmessi attraverso la tecnologia. Tre quinti della realtà, il sessanta per cento. Questo libro è un invito a farci caso». Con la sensibilità dell'educatore (l'autore ha un master in Education conseguito presso la George Washington University ndr) Lynch prende per mano il lettore mostrandogli tutti gli aspetti del problema. Dagli studi che mostrano come il mezzo non sia mai neutrale, alle riflessioni sull'influsso che la mediazione tecnologica ha sui rapporti umani, fino alla domanda finale: cosa dobbiamo fare? «Non esiste una soluzione su larga scala - scrive - Ogni luogo è unico, e ogni persona pure. L'unica strada aperta è quella dell'educazione dell'intelligenza e della libertà». Che non vuole dire educazione a fare tutto ciò che ci pare e piace. «Libertà - prosegue Lynch - vuol dire vivere l'essenziale, non disperdersi, non galleggiare sulla superficie delle sensazioni». E perché il suo messaggio non rimanga astratto, l'autore racconta del «digiuno tecnologico» proposto ai nuovi seminaristi che entrano nella Fraternità San Carlo: «La maggior parte di loro non ha mai vissuto senza televisione, computer e cellulare. Hanno bisogno di sperimentare personalmente che non solo è possibile, ma che a volte può essere conveniente vivere così. L'uomo deve decidersi per il bene perché è intimamente convinto che gli conviene». Insomma, il percorso è chiaro: la tecnologia non va demonizzata né assolta a priori, va piuttosto giudicata. In gioco c'è la possibilità di scoprire, scrive Lynch, che «il mondo è già bellissimo così com'è. Non occorre creare nuovi mondi, è sufficiente vivere intensamente questo. Le sfumature dei rapporti umani, anche quelli più semplici, sono incommensurabilmente più ricche di qualunque mediazione dei rapporti nella virtualità. Quest'ultima può servire la comunità umana, ma non la può sostituire». Perché il profumo dei limoni è insostituibile.

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