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Nel nome della rosa

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diLIDIA LOMBARDI Una rosa è una rosa, è una rosa, scriveva Gertrude Stein nel poema Sacred Emily. La consacrazione dell'evidenza delle cose. O l'invito a guardare oltre la realtà. Rosa rosae rosae è l'approccio al latino, la lingua della prima grande potenza dell'Occidente. Il nome della rosa di Umberto Eco rimanda al motto del nominalismo, lo stesso che chiude il romanzo: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("La rosa primigenia esiste in quanto nome: noi possediamo nudi nomi"). Ovvero, non possiamo cogliere l'essenza delle cose, diversamente da quanto sostenuto da Aristotele e da san Tommaso d'Aquino. Ma insomma delle rose linguistiche e filosofiche abbiamo bisogno e no in questi giorni che ne segnano il trionfo reale, insieme con gli altri fiori. Allora, cerchiamo le corolle. Nel viaggio che proponiamo le troveremo in una serie di libri, di eventi, di luoghi. Gian Paolo Bonani, il maggior conoscitore e collezionista di immagini della Madonna lactans, la Madonna che allatta, non poteva non occuparsi di rose. Le coltiva con trepidazione da oltre trent'anni. E ha scritto un libro, Parlare con le rose, nel quale si chiede perché non si può parlare d'amore senza tirare in ballo le rose. Ma soprattutto si impegna in una serie di dialoghi immaginari con i suoi adorati fiori. È un amoroso giardiniere che incita la pianta a crescere. Che si preoccupa perché è in via di estinzione, a causa anche delle troppe diavolerie biogenetiche inventate per commercializzarla. E poi racconta di Giuseppina Bonaparte, che adorava quei petali. E dei francesi che ci hanno costruito sopra un'industria. E degli inglesi, che importavano la regina dei fiori dall'India. Potrebbe anche portarci, Gian Paolo Bonani, nel giardino che sta completando, a Roccantica in Sabina, apprezzato dalla World rose federation: 4500 varietà di rose antiche e moderne con un impianto di seimila rosai. Parla con i fiori, forse soltanto con loro, la protagonista di un romanzo appena uscito per Rizzoli. L'autrice Vanessa Diffenbaugh, ieri al Salone del Libro di Torino con «Il linguaggio segreto dei fiori», racconta di Victoria, che ha mille paure: del contatto fisico, di farsi amare, delle parole proprie e degli altri. Trova pace solo in un parco pubblico di San Francisco. E di sé dice: «Non mi fido, come la lavanda. Mi difendo, come il rododendro. Sono sola come la rosa bianca. E quando ho paura, la mia voce sono i fiori». E annusarli, i fiori? A Roma il luogo deputato è il Roseto comunale, affacciato dall'Aventino sul Circo Massimo. Dal Colle Oppio, dove fu istituito nel 1931 su decisione del Governatore di Roma, il principe Francesco Boncompagni Ludovisi, passò, dopo la distruzione subita durante la seconda guerra mondiale, all'Aventino. In una zona che nel terzo secolo avanti Cristo era adibita al tempio di Flora e che negli anni Quaranta del Novecento era coltivata come «orto di guerra». C'era pure il cimitero ebraico, del quale conserva il disegno, con i vialetti che formano un candelabro a sette braccia. Vi fioriscono rose moderne e antiche. Tra queste la Banksiae, lontana nel tempo e nello spazio. Viene dalla Cina ed è nata nel 1807.

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