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Cassano acclamato. Il suo libro è un polpettone anti-Berlusconi

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Paroladel prof. Franco Cassano, nota star del nostro pensiero sociologico, che ha sviluppato il tema in un saggio, intitolato appunto «L'umiltà del male», che nei giorni scorsi è stato a lungo pompato su quasi tutta la stampa, compreso «Il Foglio», che ci ha orchestrato sopra un rispettosissimo dibattito. Quali i motivi di tanto interesse? Quello principale potrebb'essere l'intento dell'autore, da lui confessato apertamente in molte interviste, di associarsi al club dei denunciatori del Cav. indicandolo come la massima incarnazione attuale del male in salsa massmediatica. Questo geniale magister ha infatti scoperto che oggi «il Potere organizza e moltiplica la debolezza fra gli uomini attraverso l'uso sapiente dei mezzi di comunicazione di massa, la televisione in primis, e la sua vetrinizzazione del mondo dove tutto, dalle persone alle cose, è indistintamente merce e spettacolo». Dotte parole in cui non si sa se ammirare di più l'originalità dell'assunto esplicito o la sottigliezza dell'allusione implicita. Molto inoltre deve aver contribuito al successo di quest'operona il fatto che al centro della sua riflessione sul male il professor Cassano abbia posto una sua lettura di un celebre testo di Dostoevskij: quel capitolo dei Fratelli Karamazov in cui si racconta la Leggenda del Grande Inquisitore. Siviglia. Sedicesimo secolo. Cristo torna sulla terra, il popolo lo riconosce e lo acclama, ma lui viene subito arrestato per ordine del Grande Inquisitore. Questi lo va a trovare nella sua cella e dopo avergli comunicato la sua condanna a morte, lo accusa di aver seminato disordine e confusione pretendendo di portare la libertà a un popolo incapace di sostenerne il peso. La libertà – egli dice – è infatti incompatibile con la felicità, è un fardello troppo pesante per gli uomini, i quali hanno bisogno, per essere felici, di un'autorità che decidendo per loro li liberi appunto dal tormento di dover decidere. Cristo, che intanto è sempre rimasto in silenzio, quindi si avvicina al vecchio e lo bacia sulle sue labbra. Infine l'Inquisitore, aprendo la porta, gli ordina di andarsene e non tornare mai più. Su questo apologo, com'è noto, sono state scritte cataste di interpretazioni più o meno interessanti, ma quella del Cassano è forse la più singolare. Infatti è la sola che nel tentativo di individuare il vero senso di quel racconto trascuri il fatto, assolutamente decisivo, che Dostoevskij lo affidò alla voce di un intellettuale nichilista che di lì a poco, sconvolto dalle atroci conseguenze delle sue dottrine, sarebbe impazzito. Eppure quasi tutto il sugo, più che mai attuale, di quel grandioso romanzo è racchiuso appunto nel racconto dei fatti che portarono a quello sconvolgimento e a quella pazzia. Ecco la scalette di quel plot assolutamente strepitoso. 1) Ivan, il secondo dei tre fratelli Karamazov, intellettuale ateo e nichilista, scrive un libello in cui afferma che "se Dio è morto tutto è permesso". 2) Smerdiakov, il loro fratellastro, ragazzo umiliato e offeso, pieno di rancore per il trattamento subito dal padre (un vecchio e disgustoso libertino) ma colmo di ammirazione per l'intelligenza di Ivan, trova in quella frase la giustificazione filosofica del parricidio. 3) Convinto che Ivan non potrà non approvarlo, Smerdiakov ammazza il padre. 4) Corre quindi dal fratello per vantarsi di aver commesso un delitto all'altezza delle sue idee. 5) Sbigottito dalle conseguenze delle sue parole, Ivan inorridisce. 6) Smerdiakov, deluso e disperato, s'impicca. 7) Per quel delitto, intanto, viene ingiustamente arrestato Dimitri, il maggiore dei fratelli. 8) Ivan racconta la sua leggenda dell'Inquisitore al fratello più piccolo, l'angelico Alioscia. 9) Ivan finalmente capisce che tutto quell'orrore – l'uccisione di suo padre, il suicidio dl Smerdiakov e l'arresto del fratello Dimitri – è scaturito da quel suo terribile aforisma e dalla nefasta influenza che egli, con le sue idee, ha esercitato sulla fragile mente del fratellastro. 10) Infine, sconvolto da un dialogo col diavolo, Ivan impazzisce. In questo plot c'è dunque ben altro che l'idea della «debolezza» del male. O meglio c'è anche quella, visto che il romanzo, com'è noto, non si conclude affatto con il trionfo del male, né semplicemente coi suoi catastrofici effetti, bensì con l'apoteosi di Alioscia, l'angelico quarto fratello Karamazov. Non conviene tuttavia dimenticare che c'è anche, anzi soprattutto, la più lucida denuncia della sua inestinguibile «forza». La quale ci apparirà tanto più micidiale se si pensa che assai di rado, nella realtà, anzi forse addirittura mai, si sono visti da un lato intellettuali nichilisti precipitare nella pazzia per l'improvvisa scoperta dei diabolici effetti delle loro idee, e dall'altro poveri allocchi, incoraggiati al delitto da quelle idee, espiare il proprio errore col suicidio. Che cosa può aver spinto il professor Cassano a sorvolare su questi dettagli? Evidentemente la gagliarda persuasione che le televisioni del Cav. siano più assassine delle idee dei terroristi.

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