Quei pazzi anni '60
diGABRIELE SIMONGINI Un emigrante, valigia legata con lo spago in una mano e uno scatolone di cartone sulle spalle, ha appena oltrepassato il grattacielo Pirelli. I mitici Beatles vengono immortalati sullo sfondo del Duomo, sempre a Milano. Ecco le tante facce degli anni Sessanta in Italia, in due foto che ci raccontano l'emigrazione ammaliata dal sogno del boom economico, ma anche le rivoluzioni creative che sbarcano nel nostro Paese conquistandolo: nel '64 la Pop Art americana e nel '65 i Beatles da Liverpool. Fatto sta che si può veramente parlare degli «Irripetibili anni ‘60», come fa la mostra quanto mai coinvolgente presentata da oggi e fino al 31 luglio nel Museo della Fondazione Roma in Palazzo Cipolla. Fortemente voluto dal suo Presidente, Emmanuele F.M. Emanuele e curato dall'inarrestabile Luca Massimo Barbero, l'evento espositivo ha il pregio di restituire buona parte dell'incredibile vitalità creativa di quel decennio. Ed il taglio che rende originale la mostra sta nel dialogo e quasi nella gara fra Roma e Milano. Dovendo idealmente attraversare un decennio entusiasmante e sperimentale in tutti i sensi, il visitatore troverà un percorso scandito da colori e stati d'animo. All'ingresso si entra in una dimensione quasi notturna, scandita dal blu delle pareti e fatta di apparizioni, di opere strepitose che vanno ammirate senza distrazioni. Una fra tutte: il «Cielo stellato» di Fontana. È la sezione dell'azzeramento e del monocromo che prelude alla nascita di un'arte nuova. E come dimenticare il trionfo del blu Klein, nel primo quadro dell'artista francese venduto a Milano ed acquistato proprio da Lucio Fontana? Ma gli anni Sessanta sono anche gioco, provocazione irriverente, schiaffo al conformismo del mercato e così non potevano mancare i barattoli con la «Merda d'artista» di Piero Manzoni, ormai diventati nell'immaginazione popolare l'emblema della non-arte e dello sberleffo. Del resto era forte in quegli anni la radice dadaista e giustamente Barbero ha inserito in mostra alcune opere capitali di quel movimento: la «Venus restaurée», legata con una banale corda, e l'Attaccapanni del geniale Man Ray oltre allo Specchio di Marcel Duchamp. A proposito di gioco, poetico però più che provocatorio, è sorprendente scoprire il ragno di Alexander Calder che sembra arrampicarsi silenzioso in cima ad una parete. Arrivando alle sale rosse si entra nel vivo dei colori pop anticipati dai décollages di Mimmo Rotella e dal suo gesto strabiliante di strappare i manifesti dei muri. Ed ecco poi il puro talento coloristico e visionario di Mario Schifano. Dalla Pop Art, segnata anche dai grandi bidoni dipinti dell'impacchettatore Christo, si passa poi alla dimensione virtuale dell'Optical Art e del cinetismo, con il loro culto delle nuove tecnologie e del lavoro di gruppo. E poi si arriva alle sale che rendono omaggio al lavoro pionieristico di mercante svolto a Milano negli anni sessanta da Gio' Marconi, con le opere dissacranti di Enrico Baj fra dame e generali, con la «Colonna vertebrale» di Emilio Scanavino fino alla «Colonna del viaggiatore» di Arnaldo Pomodoro. Ad emblema del boom economico ormai realizzato da un Paese ben pasciuto, ecco nel 1969 l'«Italia di Pelliccia» di Luciano Fabro, una vera pelliccia a forma di stivale ed appesa alla parete come un trofeo.