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L'Olimpo di Sofia

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La Loren alla Festa del Cinema

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Come un terzo Oscar. Forse anche di più, perché stavolta il premio a Sofia glielo hanno dato non solo Hollywood e l'Academy ma tutti gli States. E in un momento che più magico non si può, adesso che l'ossessione Bin Laden è stata cancellata come nel finale liberatorio di un film di Hitchcock. Il premio, il tributo dell'America - chiamatelo come volete - non era solo all'attrice tirata su nella miseria di Pozzuoli e diventata per le strane alchimie del destino la diva più famosa. Era un inchino allo stile, «all'impatto socio-culturale» di Sofia Villani Scicolone Loren Ponti. E deve averle fatto effetto - lei abituata ai riflettori del più grande e democratico Paese del mondo come alle passerelle parigine e ai paparazzi di Roma - l'omaggio, l'altra sera, al Samuel Goldwyn Theatre di Beverly Hills. Scollatura generosa e sapientemente osata a dispetto degli abbontantissimi settant'anni, collarino di brillanti e adeguati lunghi orecchini, Sofia è sincera quando la voce le trema: «Con l'America ho un grosso debito di gratitudine». L'altro thanks è al Pigmalione, Carlo Ponti. «Devo tutto a mio marito - ha ripetuto mandando giù il groppo - È stato un maestro. Ha creduto in me come da sola non sarei mai stata in grado di fare. Questa serata è anche per lui. Carlo mi ha insegnato tutto, anche a mangiare - e qui ha allargato il celeberrimo sorriso - Non dimenticherò mai come mi insegnò a mangiare l'omelette solo con la forchetta, rigorosamente senza coltello. Da allora non ho mai più ordinato una frittata al ristorante». Poi la tipica scaletta da evento. Sullo schermo le clip dei suoi film. C'è il primo successo, «L'oro di Napoli», (1954, regia di De Sica), c'è «La ciociara», (1962, il suo Oscar). Roberto Benigni le ha cantato in videomessaggio O sole mio. E sul tappeto rosso, a battere le mani, John Travolta («Quel viso, quel corpo, quel talento», ha detto di lei), Christian De Sica, Jo Champa, Billy Crystal. Lei li ha baciati tutti. Sulle due guance, alla napoletana.

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