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La mano leggera di Rainaldi eroe del Barocco italiano

L'interno della Chiesa di Santa Maria in Campitelli a Roma

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Figura tra le meno studiate del Seicento romano, Carlo Rainaldi attende ancora una collocazione storica adeguata alle sue grandi qualità di architetto e la recente valorizzazione delle sue opere di compositore rende questo obiettivo, nel quarto centenario della sua nascita, particolarmente promettente e significativo. Giulio Carlo Argan, in un saggio dedicato a Santa Maria in Campitelli, la più importante delle architetture rainaldiane, realizzata nel 1662 per scongiurare la peste, attribuisce all'architetto una svolta decisiva nell'ambito del barocco: "Con le forme della sua architettura - scrive - mira a produrre un'emozione collettiva, così come la musica che accompagna le funzioni tende a determinare uno stato d'animo collettivo: uno stato d'animo in questo caso, di liberazione da una minaccia incombente, da un incubo. Questo crediamo, a volerlo esaminare dal punto di vista della mozione degli affetti, è il pathos della chiesa di Campitelli. Il mezzo della persuasione è il discorso, e per la prima volta una architettura non è sviluppata come la dimostrazione di un teorema o come la rappresentazione dello spazio universale, ma come un discorso." Architettura quindi, quella di Carlo Rainaldi, in senso già "schiettamente moderno", non più "rappresentazione di supremi dettati storici o religiosi", ma "modo di comunicazione umana". Secondo questa tesi l'educazione musicale e i cimenti creativi nel campo della musica sia religiosa che profana potrebbero aver guidato Carlo verso un modo di comporre più libero che ammette correzioni di rotta anche durante la esecuzione e considera lo spazio interno come realizzazione di un percorso psicologicamente programmato. Può sorprendere che l'impegno musicale rainaldiano, che si collega a una analoga passione musicale del padre Girolamo, non si esplichi in quella sperimentazione spaziale delle musiche pluricorali, tipiche della scuola romana fin dall'inizio del Seicento, quando in San Pietro, nel Gesù, in San Luigi dei Francesi le celebrazioni liturgiche erano accompagnate da sorprendenti spettacoli musicali in cui i diversi cori, fino a dodici in contemporanea, trasformavano lo spazio sacro in un convergere di vettori sonori dalla provenienza plurima e misteriosa. In realtà Carlo, nato nel 1611, appartiene a una generazione diversa da quella dei tre iniziatori del barocco, Bernini, Borromini e Pietro da Cortona. La sua musa cauta e discreta, come gli suggerisce nella architettura un personale itinerario di sperimentazione spaziale con i mezzi del linguaggio classico, riscoperti nella loro pregnanza e flessibilità sulla scorta di Palladio e degli antichi, gli suggerisce nella musica la rivisitazione di generi come il duetto, la cantata profana, e quella devozionale che poco concedono alla spettacolarità celebrativa. Nelle sottolineature espressive che non disdegnano le dissonanze si potrebbe forse trovare una qualche affinità con le ardite connessioni di spazi centrali e longitudinali leggibili in un itinerario che interpreta, nel santuario di Santa Maria in Campitelli, il movimento processionale dei pellegrini. La datazione delle composizioni musicali rainaldiane, tra il 1640 e il 1670, tra i ventinove anni e i cinquantanove di età, fa capire come la vocazione musicale sia stata per Carlo contemporanea se non precedente quella architettonica. Nel 1640, scrivendo a G. B. Doni, Pietro Della Valle, letterato e musicofilo, racconta: "Carlo Rainaldi mi promise ultimamente di voler venire a fare un poco di studio sul mio cembalo; e se verrà io non mancherò questi belli studi più che si potrà dal mio canto". Segno evidente della partecipazione di Carlo a una eletta schiera di musicofili che sperimentavano per diletto l'esercizio della musica. Il Passeri ci informa infatti che suonava squisitamente "il cimbalo, l'organo, l'arpa doppia, la lira, la rosidra" e "con maniere lievi e soavi". La notevole qualità musicale delle composizioni, riconosciuta anche da esperti musicologi, testimonia in Rainaldi, oltre alla continuità di una tradizione familiare, un orientamento di gusto volto non solo allo studio della architettura ma curioso di altri aspetti della cultura artistica e particolarmente sensibile agli aspetti del rapporto che si instaura nell'opera d'arte tra creatore e fruitore.

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