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Quando Wojtyla fece Santo padre Pio

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diRODOLFO LORENZONI Il 16 giugno del 2002 Giovanni Paolo II proclama santo padre Pio. Aprendogli le porte del cielo, il Papa venuto da lontano mette la parola fine - e con gloria - al travagliato rapporto terreno del frate di Pietrelcina con la Chiesa di Roma. Negli anni venti, infatti, il Vaticano chiese a padre Agostino Gemelli (medico, psicologo e fondatore dell'Università cattolica) di compiere un esame clinico approfondito sulle stimmate che padre Pio aveva su piedi, mani e costato. Il frate si oppose e non accettò di essere visitato, tanto che, per tutta risposta, Gemelli stilò un rapporto durissimo, in cui lo definì «psicopatico, imbroglione e autolesionista». Quindi il Vaticano emise severi provvedimenti e vietò al frate perfino di celebrare la messa in pubblico e di confessare i fedeli. Per un religioso con un rapporto così intenso con i sacramenti dell'eucaristia e della confessione, fu peggio di una scomunica. Ulteriori indagini le eseguirono gli inviati di Giovanni XXIII e poi, con Paolo VI regnante, alcune delle restrizioni vennero revocate o alleggerite. Ma è Giovanni Paolo II, da sempre devoto di padre Pio, a chiudere definitivamente la questione. Conobbe il frate di Pietrelcina subito dopo la seconda guerra mondiale, nel lontano 1947: sembra che, in quel primo incontro, Pio gli predisse addirittura che sarebbe diventato Papa. Quindici anni più tardi, da vescovo di Cracovia, Wojtyla scrisse al frate chiedendogli di intercedere con la preghiera in favore della sua amica Wanda Poltawska, madre di quattro figli e malata di cancro. Dopo qualche giorno, poco prima di essere sottoposta a un complicato intervento chirurgico, Wanda guarì completamente. Il 16 giugno di oltre quarant'anni dopo, in diretta mondovisione, Giovanni Paolo II scandisce: «La vita e la missione di padre Pio testimoniano che difficoltà e dolori, se accettati per amore, si trasformano in un cammino privilegiato di santità». È un autentico atto di risarcimento, la riabilitazione più solenne: tu hai sofferto anche per causa della Chiesa, sembra voler dire Wojtyla a padre Pio, e ora la Chiesa ti santifica. La conversione della sofferenza in dono di Dio, la trasfigurazione del dolore in santità: il parallelo tra Giovanni Paolo e il frate pugliese sotto questo profilo è lampante. La chiave della santità di padre Pio, secondo le parole dell'omelia pronunciata dal Papa polacco, è individuata nel suo eroico conformarsi al crocifisso, nella collaborazione disinteressata al progetto divino di redenzione dell'uomo. Padre Pio, nell'esegesi wojtyliana, ha insomma sacrificato se stesso in virtù della missione, in ciò santificandosi. Il Papa esalta le straordinarie doti di confessore del frate e lo indica quale esempio per tutti i sacerdoti: «sapeva donare l'abbraccio pacificante del perdono sacramentale», dice, e per questo egli è un modello universale di uomo consacrato. Ma c'è di più. Come ha efficacemente notato Aldo Maria Valli, «quel giorno il Papa polacco fa storcere il naso non solo all'intellighenzia laica e laicista ma anche, e forse soprattutto, a molti cattolici liberal che guardano con sufficienza i santini di padre Pio appesi ai Tir e ai finestrini delle auto e giudicano imbarazzante una fede in grado di innescare misticismi di massa, con l'inevitabile contorno di attività economiche e commerciali». Anche nel santificare padre Pio, dunque, Giovanni Paolo II lancia il suo messaggio al mondo: fate attenzione a non sottovalutare mai la dimensione popolare della fede, perché la pietà degli umili e dei semplici è un aspetto fondamentale del cattolicesimo. In un corpo sacerdotale spesso concentrato soltanto «nel sociale», quasi all'opposto Pio da Pietrelcina spicca come l'umile frate che vive la santità soprattutto nella appassionata e continua pratica dei sacramenti. Non scrive saggi ponderosi né compie imprese grandiose: prega, dice messa, confessa e porta consolazione con la carità. «Sono solo un povero frate che prega», diceva di sé padre Pio. Fu Giovanni Paolo II a capire che ciò lo rendeva santo.

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