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«Sognavo di diventare suora»

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diDINA D'ISA Quando si sparge la voce che la tredicenne Manuela parla con la Madonna la casa della ragazzina diventa un pellegrinaggio continuo. Manuela (l'esordiente Carla Marchese) viene soprannominata «la piccola santa» e diventa lo specchio di una deformazione fideisticia della società. Questo il tema de «I baci mai dati», diretto dalla regista milanese (ma siciliana di adozione) Roberta Torre, prodotto da Nuvola con Rosetta Film, in collaborazione con Enterprises e da domani al cinema, dopo aver aperto la sezione Controcampo italiano nella scorsa Mostra di Venezia. Oltre a Beppe Fiorello, Pino Micol e a una divertente Piera Degli Esposti (nel film metà maga e metà parrucchiera), nel ruolo di una madre arrivista (che fa dell'evento miracoloso un business) c'è anche l'intensa Donatella Finocchiaro. Attorno, un'umanità alla disperata ricerca di qualcuno che sia disposto ad ascoltare le sue lacerazioni, talvolta le sue pretese che sfiorano l'assurdo involontario, del tipo «Vorrei che la Madonna facesse trovare un lavoro al mio fidanzato in un supermercato. Nel turno dalle 3 alle 8 del pomeriggio, che è il migliore». Donatella Finocchiaro come si è accostata a questo curioso personaggio? «Rita, la mamma che interpreto, fa parte dello spaccato tipico di certa società del sud del mondo. Attraverso di lei capiamo che gli esseri umani sono disposti a credere a tutto. Sperare è necessario e la gente, per questo, si aggrappa a qualsiasi cosa. Rita è una madre sopra le righe che scorda i valori familiari e gli affetti alla ricerca della popolarità; è una madre che vuole riscattarsi attraverso i miracoli e che non sa bene cosa fare della propria vita, accanto a un marito inesistente. Fino a quando la statua della Madonna eretta nello spiazzo davanti casa diventa qualcosa di più di un monumento: la Madonna parla - almeno, così sembra - a sua figlia Manuela. Da quel momento la loro vita e quella di chi la circonda si trasformerà radicalmente». Ancora una volta lei gira un film nelle periferie e ancora una volta diretta da Roberta Torre... «Con Roberta c'è una grande sintonia e spero trasparisca anche a teatro, dove lei farà la regia de "La Ciociara" e io reciterò con Daniele Russo. Roberta la considero la mia mamma artistica, a cominciare da "Angela" fino a questa pellicola. Ci siamo divertite fin dall'idea della tinta, questo biondo con ricrescita che secondo me farà moda. Il mio personaggio, Rita, è fatta di mille donne che la regista ha incontrato davvero. La Torre ama le periferie perché crede siano anticipatrici del mondo contemporaneo: dal Tiburtino Terzo di Roma, allo Zen di Palermo e ora a Librino, un quartiere surreale di Catania, progetto naufragato dell'architetto giapponese Kenzo, che rappresenta il degrado di tante periferie moderne». Qual è il suo rapporto con la fede? «Volevo farmi suora, ero molto praticante, poi ho vissuto un necessario distacco e ora continuo a credere in un Dio Celeste sopra di noi. La fede mi accompagna ancora e credo sia un grande dono del Signore, o ce l'hai o è duro conquistarla». Come vivrà, domenica, il giorno della Beatificazione di Giovanni Paolo II? «È un grande Papa a cui tutti siamo molto legati. Aveva la straordinaria capacità di donare la pace alle persone e di suscitare tanta emozione. Sono felice per la sua Beatificazione e dirò una preghiera speciale pensando a Wojtyla». Ha mai pensato di lavorare in una fiction in tv? «Quest'anno mi sono molto divertita ad affrontare la commedia dai toni più leggeri. Ora sarei pronta anche per la fiction, sto facendo dei provini sia per la Rai sia per Mediaset. Intanto, il 6 maggio uscirà nelle sale "Senza arte né parte" di Giovanni Albanese, dove farò la moglie di un disoccupato esilarante come Vincenzo Salemme».

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