Più che polacco «primate d'Italia»
diRODOLFO LORENZONI Viene "da lontano", Giovanni Paolo II. L'amatissima Polonia in cui è nato, nei primi anni del suo pontificato è prigioniera lassù, nell'Oriente d'Europa, oltre la cortina di ferro. Ma nel momento stesso in cui sale sul trono di Pietro, Wojtyla prende a sentirsi romano a tutti gli effetti, deciso ad operare - non solo simbolicamente - in qualità di vescovo di Roma e di leader dei vescovi italiani. Lo sguardo rivolto all'Italia e alle sue prospettive è un atteggiamento che mantiene lungo tutto il suo pontificato. Ogni domenica visita una delle parrocchie della capitale, sempre accompagnato dal Vicario (prima Poletti, poi Ruini). Nella sua camera da letto in Vaticano fa addirittura appendere una mappa delle chiese romane, in cui annota quelle già visitate e programma quelle da visitare. La situazione del cattolicesimo italiano lo preoccupa, perché lo vede debole e sfibrato: malgrado la grande tradizione, lo giudica più fragile di quello della sua madrepatria. La congiuntura storica, d'altra parte, non è delle migliori: l'Italia fatica a uscire realmente dagli anni 70, le Brigate Rosse continuano a seminare lutti, la Dc comincia a mostrare le prime crepe al suo interno, mentre subisce le critiche degli stessi fedeli, che la accusano di non rappresentare più l'unità dei cattolici e di essere, invece, solo il perno di un logorato sistema di potere. In tali circostanze, già nei suoi primi atti, Papa Giovanni Paolo II si qualifica indiscutibilmente come "primate d'Italia". Il 5 novembre del 1978, addirittura prima di diventare ufficialmente Papa nella cattedrale del Laterano, va in pellegrinaggio ad Assisi, città di Francesco, patrono d'Italia. E poco dopo tocca all'altra patrona, santa Caterina, alla quale Wojtyla rende omaggio visitando la sua tomba a Roma. Il Papa polacco eredita però un episcopato largamente segnato dall'impronta di Paolo VI. Montini ha disegnato una Chiesa dal profilo molto religioso ed evangelizzatore, ma con una ridotta presenza pubblica e politica; paradossalmente, è ora il primo Papa straniero da quasi mezzo millennio a voler restituire il discorso religioso italiano alla dimensione pubblica che gli spetta. La funzione che - almeno dalla metà degli anni 80 in poi - Wojtyla attribuisce alla sua Chiesa nel rapporto con la realtà italiana è quella di autorità di "riconciliazione nazionale", di forza sociale obbligata a misurarsi con la storia del Paese, proprio perché tale storia è incontestabilmente "impregnata" di cristianesimo. I fatti di Polonia, della madrepatria in cui il cattolicesimo è impegnato a scuotere dalle fondamenta un sistema politico che appare invincibile, gli suggeriscono che anche in Italia occorra rifiutare con fermezza l'espulsione della religione dalla vita sociale. Questa impostazione riemerge anche nel corso della crisi italiana degli anni 90, quando un'intera classe politica viene spazzata via da Mani pulite. Giovanni Paolo II indice allora una grande preghiera per l''Italia: "Se la società di questo Paese deve profondamente rinnovarsi, purificandosi dai reciproci sospetti e guardando con fiducia verso il suo futuro, allora è necessario che tutti i credenti si mobilitino". D'altra parte il pontificato giovanpaolino lascia comunque un segno indelebile nella storia d'Italia. Il 18 febbraio del 1984, dopo lunghissime ed estenuanti trattative soprattutto sul ruolo del cattolicesimo quale religione di stato italiana, il cardinale Agostino Casaroli per la Santa Sede firma con Bettino Craxi il "Nuovo Concordato". Viene istituito l'Otto per mille, si stabilisce che la nomina dei vescovi non debba più essere approvata dallo Stato italiano, si regolamenta la validità del matrimonio concordatario e lo svolgimento dell'ora di religione nelle scuole pubbliche nazionali. La conclusione della "questione romana" viene perfezionata e l'"Accordo di Villa Madama" resta senz'altro una stella polare nella pacifica convivenza tra la Chiesa di Roma e la nazione italiana. Ma questa eredità del regno di Giovanni Paolo II viene periodicamente rimessa in discussione, non di rado persino da storici e intellettuali di orientamento cattolico. 18-continua