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La Pasqua difficile della Terrasanta

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diFRANCO CARDINI La Settimana Santa è tradizionalmente, per Gerusalemme e per tutta la Terrasanta, un momento di preghiera ma anche di festa: anche perché qui la primavera è sempre molto bella. Ormai, però, gli effetti di troppi decenni di guerra e di tensione si fanno duramente sentire. L'afflusso dei pellegrini occidentali (ma anche dalla Russia e dall'Europa orientale) è ripreso, dopo alcuni anni di crisi molto visibile: l'apprensione però si tocca con mano, insieme con la tristezza di una Gerusalemme vecchia dove troppi sono gli sporti abbassati e gli esercizi chiusi. La crisi economica si sposa inestricabilmente con la tensione. È duro anche combattere con le "leggende metropolitane". Tra molti pellegrini circola ad esempio la voce che sia impossibile andare da Gerusalemme a Betlemme. Secondo alcuni, lo vieterebbero gli israeliani; secondo altri, lo impedirebbe l'Authority palestinese. Ovviamente, non è vero. A Israele giova dimostrare che tutto è in ordine e che i visitatori sono i benvenuti. E i palestinesi hanno bisogno di turisti, di valuta, di credito. Ma le difficoltà ci sono: e sono obiettive. Del "muro", incombente con le sue alte pareti di pannelli di bigio cemento prefabbricato, si può pensare e dire tutto quel che si vuole: per molti israeliani esso è stato il rimedio obiettivo contro le incursioni terroristiche, e non c'è dubbio che in ciò essi abbiano ragione. Ma i suoi costi sono altissimi: in termini di mantenimento, di crescita d'incomprensione, di accresciuta difficoltà della vita di tutti, di danno d'immagine. Anche nella parte vecchia della Città Santa, all'interno del circuito quasi intatto delle "mura di Solimano", la tensione si taglia col coltello. Da sud, si va espandendo sempre più l'onda candida dei nuovi edifici in pietra edificati dagli israeliani ebrei, che occupano metro dopo metro uno spazio espropriato o acquistato agli israeliani musulmani e cristiani. La "vecchia" Gerusalemme, con le sue numerose e complesse stratificazioni archeologiche e monumentali che risalivano al medioevo umayyade, abbaside, crociato, mamelucco, ottomano e coloniale sta lentamente scomparendo, sostituita dalla "nuova" Gerusalemme ebraica linda, pulita, ordinata, ben tenuta: ma non è più la stessa, e i custodi dei Luoghi Santi cristiani e musulmani si sentono assediati. La questione di Gerusalemme è primaria: e su ciò bisogna avere le idee chiare. Secondo il piano di spartizione della Palestina proposto dalle Nazioni Unite per i due previsti stati che avrebbero dovuto spartirsene il territorio, cioè l'arabo e l'ebraico, e adottato il 29 novembre del 1947, Gerusalemme avrebbe dovuto costituire un corpus separatum e demilitarizzato sotto regime internazionale speciale. Gestito da un consiglio di tutela e da un governatore non appartenente né all'uno, né all'altro dei due stati previsti. Il piano fu accettato dagli ebrei, che fondarono lo stato d'Israele, e rifiutato dagli arabi i quali ne giudicarono nel complesso inaccettabili i criteri di spartizione e i confini. Dopo il conflitto del 1948-49, Il 19 dicembre di quell'anno l'ONU decise l'internazionalizzazione di Gerusalemme; il parlamento israeliano contestò tale decisione e il 23 gennaio 1950 adottò una risoluzione che proclamava Gerusalemme "eterna capitale d'Israele": decisione confermata alla fine della guerra del 1967 e quindi nella "Legge fondamentale d'Israele" del 30 luglio 1980, che l'ONU continua a impugnare. Forse, una via d'uscita potrebbe essere quella proposta dal Vaticano: Gerusalemme capitale d'Israele, ma internazionalizzazione della limitata area "storica" dei Luoghi Santi cristiani e musulmani entro la cinta muraria di Solimano. Una specie di adattamento del concordato italovaticano del 1929. Ci arriveremo? Tutto sembra oggi in alto mare: e non si capisce se la "primavera araba" sbocciata nel gennaio-febbraio tra Tunisia, Egitto e Yemen, ma che poi sembra essersi arenata nelle secche libiche, algerine e siriane sarà foriera per il mondo nordafricano e vicino-orientale di una nuova stagione democratica o di un rincrudirsi della lotta anche interna all'Islam (la cosiddetta fitna), come sembrerebbe essere annunziato dalla tragica fine a Gaza del militante pacifista Vittorio Arrigoni, sulla quale gravano tuttavia molti interrogativi cui ha dato voce lo stesso autorevole quotidiano israeliano Haaretz del 15 aprile scorso. Certo, siamo entrati in una fase nuova: ma quale sorpresa sta nascosta nell'uovo di Pasqua mediorientale 2011?

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