Grande dandy
diSARINA BIRAGHI Ricco, affascinante, spericolato. E principe. Un principe indemoniato, giorno e notte, di cui innamorarsi pazzamente sapendo che è un tombeur de femmes e che mai sarà disposto a confidare le sue inquietudini o le sue delusioni. Un uomo che, in perenne movimento, di fronte alla sconfitta decide di affrontare da solo il suo volo più lungo. Tra stravaganze dannunziane e debolezze brancatiane, Marcello Sorgi racconta le avventurose imprese di un Gattopardo in lotta con il suo tempo ne «Il grande dandy» (Rizzoli, pag. 208), biografia molto narrativa e partecipata di Raimondo Lanza di Trabia. Amante della vita, grande frequentatore del jet set, Sorgi delinea il ritratto eccentrico del principe siciliano ultimo rappresentante di una dinastia di cui non ci sono epigrafi e strade in memoria nell'assolata Trinacria, che viveva in un castello che era la sua reggia, i cui resti oggi come una «balena spiaggiata» giacciono sulla riva di un pezzo di costa siciliana. Una vita breve quella del dandy siculo, figlio illegittimo (per questo detto u' picciriddu) di Giuseppe Lanza Branciforte, Principe di Scordia e della nobildonna veneta Maddalena Papadopoli Aldobrandini, moglie del principe Ludovico Potenziani. Grazie all'intervento della nonna paterna, Giulia Florio, presso Mussolini, con un provvedimento speciale analogo a quello creato ad hoc per un gerarca fascista, fu legittimato col fratello minore Galvano successivamente alla morte del padre. Al principe fascinoso e brillante, dall'eleganza d'antan, bevuta insieme al latte della mamma e mischiata con il sangue blu, Domenico Modugno dedicò una delle sue più celebri canzoni «Vecchio frac». La canzone, struggente, parla di uno strano signore che s'allontana nella notte romana e all'alba dopo aver dato il suo addio «al mondo ai ricordi del passato, ad un attimo d'amore che mai più ritornerà», galleggia malinconicamente sulle acque del Tevere. Malgrado il velo d'oblio sul personaggio, forse proprio a causa di quel suicidio a chiusura di una vita spericolata (sembra di sentire ancora l'urlo del benzinaio «Ahò, ma che sta' a fà?», sotto l'Eden di Via Veneto alla vista dell'uomo sul davanzale), il principe Raimondo con il suo carattere brillante e la personalità straordinaria, ebbe una rete fittissima di amicizie e relazioni internazionali, dagli Agnelli all'armatore greco Aristotele Onassis, allo Scià di Persia, Reza Pahlavi (con cui faceva battute di caccia alla tigre), da Edda Mussolini Ciano al «comunista partigiano» Antonello Trombadori a Pino Muceo, il monello della Kalsa, il rione arabo di Palermo. Vero play boy, si dice che avesse avuto flirt con Edda Ciano, Joan Crawford, Rita Hayworth, fosse rimasto folgorato da «una donna diversa» ovvero Susanna Agnelli, ma sposò l'attrice Olga Villi da cui ebbe due figlie, Venturella e Raimonda. Grande amante dello sport fu anche fra gli esponenti dello sport siciliano dell'immediato Dopoguerra. Presidente della squadra rosanero del Palermo, intenditore di calcio, corridore automobilistico e tifoso sfegatato del leggendario Tazio Nuvolari che gli insegnò a guidare. Da presidente del Palermo calcio, inventò il «calciomercato» all'Hotel Gallia di Milano e portò la squadra in serie A. Nipote dei Florio si adoperò per far risorgere la Targa Florio, dopo la Seconda guerra mondiale. Poi, nel Dopoguerra, la crisi: le terre in rovina, il patrimonio famigliare dissolto da un tenore di vita insostenibile, affari mirabolanti andati male, cercherà invano di coinvolgere gli amici Reza Pahlavi e Aristotele Onassis nell'«affaire petrolio»... fino alla depressione, alla noia, al suicidio. Doppiogiochista, senza essere un traditore, amico di fascisti e comunisti, senza lasciarsi affascinare dagli uni o dagli altri, fu spia fascista durante la guerra di Spagna, mediatore con i partigiani, informatore degli americani: per questo forse Lanza pur essendo stato per 40 anni un personaggio delle vicende italiane, è sempre stato un po' emarginato dalla storia ufficiale che gli riconosce però il ruolo di «grande dandy».