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Tutti i mea culpa di Giovanni Paolo II

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diRODOLFO LORENZONI Anche i giganti chiedono scusa, perché sanno che la storia presenta immancabilmente i suoi conti. Il Papa venuto da lontano è pronto a chiedere perdono per gli errori commessi nel passato, a nome della Chiesa e del popolo di Dio. Questo non significa nella maniera più assoluta rinunciare al ruolo del cattolicesimo nella società; al contrario vuol dire consolidare tale ruolo riconoscendo ciò che lo ha svilito agli occhi del mondo. La prima ferita aperta che Giovanni Paolo II desidera chiudere definitivamente porta il nome di Galileo Galilei. L'occasione per annunciare l'intenzione di riesaminare il caso è una commemorazione di Albert Einstein, nel novembre del 1979. Davanti ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, a un solo anno dalla sua elezione, Giovanni Paolo II non usa giri di parole: "La grandezza di Galileo è nota a tutti, ma questi ebbe molto a soffrire da parte di uomini e organismi della Chiesa. Così come è stato anche riconosciuto dal Concilio Vaticano II, io auspico che teologi, scienziati e storici, da qualsiasi parte provengano, approfondiscano l'esame del caso Galileo, nel leale riconoscimento dei torti". Il Papa allude ai torti e alle sofferenze che questi torti hanno causato, e non nasconde che è giunta l'ora di porre rimedio. Alle parole seguono rapidamente i fatti. Viene istituita la "Commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo", suddivisa in quattro gruppi di lavoro, uno dei quali affidato a Carlo Maria Martini. Il documento di conclusione dei lavori - la cosiddetta "relazione Poupard", dal nome del cardinale relatore - da molte parti viene interpretato come un mezzo passo falso, come una rinuncia a pronunciare una parola risolutiva sulla questione. In realtà il merito dello scritto denuncia esplicitamente l'errore: "I giudici di Galileo credettero a torto che l'adozione della rivoluzione copernicana fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica e che fosse loro dovere proibirne l'insegnamento. Dobbiamo riconoscere questi torti con lealtà, come ha chiesto Vostra Santità". La strada è tracciata e "Vostra Santità" Giovanni Paolo II intende percorrerla sino in fondo. Parla di alcune delle guerre combattute dai cristiani, condannandole poiché hanno generato violenza e oppressione annientando esseri umani e quindi anche la sostanza del messaggio di Gesù. Tocca più volte il tema dell'Inquisizione e proprio in Spagna ravvisa che "si produssero tensioni, errori ed eccessi che la Chiesa deve oggi valutare e valuta alla luce obiettiva della storia". Si riferisce alla travagliata storia dell'Africa, che è sempre nel suo cuore, quando in Camerun chiede perdono ai fratelli africani che tanto hanno sofferto per la tratta degli schiavi. E non dimentica le popolazioni indigene, troppe volte vessate nel falso nome di un Dio senza misericordia: "La Chiesa - chiarisce nel 1984 a Santo Domingo - non intende negare l'interdipendenza tra la croce e la spada che caratterizzò la prima fase della penetrazione missionaria nel Nuovo Mondo". Per uno dei "mea culpa" più rilevanti, Giovanni Paolo II sceglie poi una sede istituzionale di prima grandezza, quasi a voler accentuare l'importanza e la solennità delle sue parole. A Strasburgo, al cospetto del Parlamento europeo, Wojtyla ripudia formalmente l'integralismo medievale, che molti tra i Papi di quel periodo storico di fatto propugnarono. "La cristianità latina medievale non è mai sfuggita alla tentazione integralista di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede", dice il Papa. Nella tante tappe di questa "riparazione dei torti", il Pellegrino dell'Assoluto riceverà critiche opposte e simmetriche: i "conservatori" lo accuseranno di avere inutilmente e ingiustamente messo la Chiesa alla berlina, i "progressisti" gli rimprovereranno invece di non essere andato fino in fondo nella espiazione della colpa. In verità Giovanni Paolo II non fa altro che inoltrarsi con coerenza in un cammino iniziato con il Concilio Vaticano II e proseguito con Paolo VI. 14-continua

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