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Teatro: gli irriducibili sfidano una festa allergica al palcoscenico

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Latradizione di godersi uno spettacolo in compagnia di parenti e amici a Natale o di celebrare il Capodanno a teatro risulta penetrata nel costume e registra un gradimento altissimo fra i romani, anche grazie alla variegata e preziosa offerta di titoli e volti noti selezionata appositamente per fine dicembre, mentre l'oscillazione della data pasquale nel calendario e l'abitudine alla gita fuori porta o al viaggio di piacere invogliato dal clima mite non consentono agli operatori teatrali di puntare sulla settimana santa. Del resto c'è il noto proverbio «A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi» a chiarire empiricamente ogni ragione. Il contesto natalizio, con il suo immaginario casalingo e il richiamo alle atmosfere familiari, fornisce tematiche succulente e intramontabili agli autori di ieri e di oggi, ben consapevoli di come il teatro sappia analizzare, denunciare e mettere alla berlina le dinamiche parentali e domestiche. Dall'emblematico su tutti «Natale in casa Cupiello» di Eduardo, con la sua strenua difesa del presepe e l'accento posto sul modello irraggiungibile della Sacra Famiglia al beffardo e contemporaneo «Benvenuti in casa Gori» di Alessandro Benvenuti, in cui si anima un gruppo riunito proprio per il pranzo di Natale, fino al recente «L'astice al veleno» di Salemme che ha spopolato a dicembre nella Capitale, il teatro rappresenta volentieri una situazione universalmente conosciuta e condivisa con istantanea immedesimazione del pubblico. Alla Pasqua, invece, si addice più il tragico che il comico, con conseguente fuga di investimento economico basato sul pregiudizio che la gente voglia soltanto ridere, lasciando ancora alla religione il ruolo primario. Se si fa eccezione per «Cavalleria rusticana» di Verga, ambientato proprio la mattina della Resurrezione o per il dramma a lieto fine «Pasqua» di Strindberg, dedicato alla conversione buonista di un creditore, non sono molti i testi collocati in corrispondenza della morte di Cristo. Gli attori stessi preferiscono partecipare alla Via Crucis, ancora vivace e spettacolare in tanti comuni italiani, dedicandosi al sacro più che al capro espiatorio di millenaria ascendenza drammatica. Persino un irriducibile come Orsini salta le repliche del suo «Arturo Ui» per riprendere il 26.

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